Al-Ayyam (18/4/2012), Ashraf al-Ajrami. Traduzione di C.Cadonazzo
L’annuncio di una cinquantina di attivisti della loro solidarietà per il popolo palestinese, il fermo imposto loro da Israele per il loro rifiuto di lasciare il paese e per la loro determinazione a entrare in Cisgiordania, lo sciopero della fame in segno di solidarietà con i prigionieri palestinesi nelle carceri delle forze di occupazione. Tutto questo merita apprezzamento e rispetto. Simili esperienze costituiscono una svolta importante nella sensibilizzazione alla causa palestinese, non solo perché gli attivisti sono diventati più consapevoli della lunga sofferenza di quel popolo sotto l’occupazione, ma anche perché quanto è successo dovrebbe spianare la strada alla costruzione di un movimento di solidarietà impegnato su diversi fronti, a livello locale, regionale e internazionale.
Probabilmente la protesta degli attivisti che si è svolta contestualmente alle manifestazioni della giornata del prigioniero palestinese (una festa nazionale per celebrare i prigionieri di guerra e sostenerli nella loro lotta per la liberazione di se stessi e del loro popolo) ha rappresentato una splendida occasione. Un evento coinciso inoltre con l’annuncio di uno sciopero della fame sine die da parte di un cospicuo numero di detenuti che intendono vedere esaudite diverse richieste vitali: la fine della politica dell’isolamento, l’abolizione della legge sulla detenzione amministrativa, lo stop alle perquisizioni, il permesso per i prigionieri della Striscia di Gaza di vedere le rispettive famiglie, cui viene impedito di visitarli da quasi cinque anni, assistenza medica per i malati, il miglioramento delle condizioni di vita da tutti i punti di vista, la possibilità per i giovani di completare l’istruzione secondaria e universitaria. Queste e altre richieste che si sono sedimentate nel corso degli ultimi anni di politica carceraria e di governo ingiusto nei confronti dei detenuti.
La scelta dello sciopero come forma di lotta pacifica è estremamente importante, dopo una fase relativamente lunga durante la quale il movimento dei detenuti non ha condotto simili battaglie a causa delle divisioni interne e della mancanza di un accordo. Ricominciare a prendere in considerazione la lotta dei prigionieri per i loro diritti non è solo un modo per arrestare il deterioramento delle loro condizioni di vita umane contribuendo invece a migliorarle. Un tale passo infatti prepara il terreno all’unità del movimento dei detenuti e alla sua attenzione collettiva per le questioni interne e per la causa del popolo palestinese.
E’ vero che non tutti i detenuti partecipano a questa attività, ma è sufficiente che un gran numero di essi vi prenda parte per incoraggiare chi si astiene a unirsi a loro in seguito. L’importante è che le fazioni trovino l’unità su una stessa decisione, non importa che sia grande o piccola. Basta insomma che l’amministrazione carceraria senta l’unità dei detenuti e la loro determinazione a combattere la loro lotta per indurla a rivedere le sue politiche.
Oggi il movimento dei detenuti può ampliare il proprio orizzonte grazie al movimento di solidarietà internazionale per loro e per il popolo palestinese. Lo sciopero della fame è dunque un nuovo metodo per richiamare l’attenzione, che può inoltre far giungere il messaggio dei detenuti in diverse parti del mondo. Parimenti la repressione israeliana ai danni degli attivisti ha scosso le autorità di occupazione, che non hanno potuto far altro che riconoscere verità inconfutabili e confermate dalle telecamere, come la sofferenza del popolo palestinese. Quanto hanno subito attivisti internazionali è incomparabilmente meno doloroso di quello che è accaduto a un popolo interno costretto a vivere sotto l’occupazione e la sua macchina repressiva.
Vale la pena ricordare che è l’unità del movimento dei detenuti e il ristabilirsi della sua posizione di avanguardia nella lotta nazionale (a partire dalla consapevolezza dei suoi interessi e dei suoi scopi) a costituire un potenziale catalizzatore di un ampio movimento di solidarietà. Quanto accaduto nella giornata del prigioniero in termini di debolezza del movimento di solidarietà di massa deve far luce sulla portata di tale danno. Un danno provocato dai punti deboli di un movimento che finora non ha saputo opporre resistenza all’amministrazione carceraria. Il movimento dei detenuti dunque deve necessariamente recuperare in pieno il suo peso e la sua forza sul terreno della battaglia nazionale. In primo luogo realizzando i suoi obiettivi compattando la gente attorno ai quadri dirigenti. Al popolo manca infatti di vedere attribuito un ruolo di primo piano ai detenuti, come ad esempio nell’elaborazione della carta dei prigionieri e nello sforzo di promuovere l’unità nazionale.
Ciò naturalmente non cancella il fallimento di tutte le forze politiche e le fazioni rispetto al problema dei detenuti. La giornata del prigioniero inoltre non deve prendere le mosse dagli esigui movimenti che non riescono a elevarsi a livello di ciò che rappresentano i detenuti nella coscienza e nella mente del popolo. La questione dei detenuti infatti comprende anche quella della terra, di Gerusalemme, dei profughi, del consenso nazionale (una questione quest’ultima sulla quale nessuno ha da obiettare). E’ necessario che a mobilitarsi sia l’intero popolo, a partire dai detenuti e dai loro familiari, fino ai loro gruppi e a tutte le associazioni popolari, ufficiali e specializzate.
La giornata del prigioniero deve essere uno snodo importante per ribadire solidarietà e sostegno per i detenuti. E’ importante dunque che questi ultimi vedano che tutto il popolo è solidale con loro e condivide la loro battaglia. Un messaggio forte, che consolida il morale dei detenuti e fornisce loro appoggio. Un messaggio, al contempo, alle autorità israeliane, per ribadire il ruolo chiave della questione dei detenuti e impedire loro di produrre ulteriori danni portandola sul tavolo di una qualsiasi linea politica futura.
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