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B-W-B, lamento per la porta di Yarmouk

In copertina, la porta del campo di Yarmouk, aperta, ritratta dall’artista siro-palestinese Anas Salameh

Dai versi di Khalil Gibran, dalla voce di Fairouz, una promessa: “aninu-n-nay yabqa ba’da ‘an yafna-l-ujud” (Il lamento del flauto resterà quando la vita sarà scomparsa). Cosa direbbe babu-l-Yarmouk, la porta di Yarmouk, se potesse dare voce al suo lamento? Chiusa da più di duecento giorni, assiste – impotente – allo scomparire di vite che ha visto entrare la prima volta e non uscire mai più. Solo per alcuni, ora, quella porta viene aperta. Tra questi, molti sono allo stremo delle forze: li chiamano “casi umanitari” – definizione che dà i brividi, visto quanto sta avvenendo. Mentre gli aiuti entrano, ma l’assedio permane.

Non mi ero mai chiesta quale potesse essere l’origine della parola bab, porta, in arabo.

Yarmouk mi ha spinta a cercarne la radice. Ho scoperto che il verbo bawwaba significa “mettere in ordine”: un pensiero ha rincorso l’altro. Le radici vicine cercavano di incoraggiarla, quella porta assediata nel suo ordine rovesciato: anzitutto abāḥa, “permettere”, di cui ha un grande bisogno; e poi bahā “essere bello, splendere”, ciò che, nonostante tutto, continua a fare. In un arabo che non mi aveva mai raggiunta con queste sue note, prima. Ho immaginato la voce della porta del campo. La porta del campo mi ha risposto col suo lamento.

“yaskununi anin al-mukhayyam” – “Mi abita il lamento del campo” (Anas Salameh)

“la mia libertà è di essere ciò che non vogliono io sia
e la mia libertà è di allargare la mia cella,
di portare avanti la mia canzone della porta
una porta è la porta, e la porta non ha porta
ma io posso uscire, dentro me, e così via, e così via”

(da “Un metro quadrato di prigione” del poeta palestinese Mahmoud Darwish)

Lamento per la porta di Yarmouk

Li guardo uno ad uno

Mentre premono il capo contro il petto
Delle loro madri di cemento

Sono gli alberi di queste strade
Piantati troppo vicini agli edifici
È come se soltanto il mio sguardo
Li tenesse in piedi, stremati
Mentre resto qui, bloccata

Mi hanno portato via ciò per cui sono nata
Mi hanno derubata del vuoto
Il vuoto era l’abbraccio che vi davo
Lasciandovi passare

Cosa facevo prima di perderlo?
Ho paura che dimenticherò
Ero la porta del campo
Ricordo che voi entravate
Ricordo che voi uscivate
Io sentivo
Di esistere in quel passaggio
Che dava un senso allo spazio

Ora che l’ho perso
Sono bloccata, non riesco a muovermi
Il mio lamento
È il solo movimento che posso fare

Mi hanno portato via tutto
Ma non hanno considerato
Che il mio lamento vi avrebbe
Lasciati passare
Solo voi che riconoscete la mia voce
Potete attraversarmi

Esci, figlio mio, va’ incontro ai tuoi fratelli lontani
E poi tornate qui insieme
Entra, sorella, torna dai visi amati
Porta loro in dono l’aria che hai respirato fuori

Nel mio lamento potete uscire
Nel mio lamento potete entrare
Il mio lamento non è una condanna
È un varco di scale da scendere e salire

Per voi che mi ritraete
Per voi che mi lasciate la vostra anima in custodia

Un lamento vi riporterà da me
Non mi resta che questo
Ogni orecchio disposto ad accogliermi
Renderà meno dura la mia chiusura

E vi restituirà la porta
Che vi ha accolti la prima volta
Sfiorandovi col suo lamento, creando
Uno spazio aperto come di polmoni
Come sangue nuovo ne varcherete i confini

Claudia Avolio