Atmosfere di quartiere e simbolismo ne “Le stelle sussurrano” di Naghib Mahfuz

naguib mahfuz

Di Sawsan Al-Abtah. Sharq al-Awsat (11/12/2018)

Traduzione e sintesi di Veronica Toschi

La raccolta di racconti, che prende il nome da una delle storie al suo interno, è stata pubblicata lo scorso sabato dalla casa editrice egiziana Dar al-Saqī, in collaborazione con l’editoria libanese e con il grande supporto dello scrittore egiziano Muhammad Sha’ir.

Le storie qui proposte furono già pubblicate negli anni ’90 sulla rivista egiziana Nifs ed-Dunia, tutte tranne una dal titolo “Ramno nel vecchio forte”. È strano, poiché il racconto in sé non si distacca affatto dalle tematiche, dallo spirito, dai luoghi e dalla natura dei personaggi delle altre storie; anche qui infatti troviamo il costante scontro tra la ribellione, di solito impersonificata da giovani ragazzi del villaggio che si distaccano dalla realtà inseguendo miti e leggende che li portano alla morte, e la rettitudine di figure ricorrenti come l’imam o lo sheik del villaggio. E così, per la natura stessa delle cose, le inclinazioni violente che poi si trasformano in lotta impegnano tutti i personaggi. 

Tra le ambientazioni preferite di Mahfuz c’è sicuramente il quartiere, luogo dove si intrecciano i destini e le storie di chi vi abita, ma anche luoghi alquanto evocativi come il vecchio castello e i suoi sotterranei. È dall’unione di questi luoghi reali e surreali che nascono le storie di Mahfuz, e da queste trapela quel simbolismo che lo scrittore sa bene intrecciare con le credenze popolari del quartiere e che fanno inevitabilmente parte della vita dei suoi abitanti. Il simbolismo impregna il suo stile, insieme all’amore che mette nel dare nomi significativi ai personaggi delle sue storie o alla sua tendenza nel disegnare le atmosfere popolari attraverso i loro stati d’animo.

I racconti riportati nel libro sono di varia lunghezza; tra i più brevi ma intensi è il caso di menzionare “ La profezia di Nimla” o meglio ancora “Il segreto dell’ultima notte”, lungo appena una pagina e qualche riga, che parla di un uomo che all’entrata del quartiere sente un profumo, quello che probabilmente una donna passando si è lasciata dietro, e da questa semplice ipotesi ne nascono mille nella testa del passante, tutte legate al chissà cosa avrà fatto quella donna prima di passare per di là. Il racconto si conclude con quest’espressione: “(..) ed ogni volta che una donna passava, lui ricordava quel profumo, annusava e sospirava, poi annusava ancora”. Questo lasciarci immaginare cosa pensi o ricordi l’uomo fa parte dello stile letterario di Mahfuz, fatto di espressioni inconcluse, parole indefinite che lasciano al lettore la possibilità di scegliere come interpretare la storia.

Ma il più bello dei racconti è sicuramente “La caccia”: ci offre un modello terribile di cosa siano capaci le donne in fatto di astuzia e vendetta di fronte alla prepotenza dei costumi sociali imposti e al potere degli uomini. E pensare che questi racconti Mahfouz li aveva considerati stupide bozze.. alhamdulillah, per fortuna la figlia di Mahfuz ha fatto recapitare allo scrittore Muhammad Sha’ir una scatola, un momento da lui in seguito definito “come l’emozione di scoprire una tomba faraonica”. La scatola conteneva manoscritti, quaderni, e corrispondenze di Mahfuz, permettendo al giovane scrittore di fare una cosa molto bella: includere alla fine del libro i manoscritti, scritti letteralmente a mano dal premio Nobel, dei racconti contenuti all’interno.

Così facendo, il lettore possiede praticamente “l’originale”, e può con i suoi occhi vedere come Mahfuz fosse preciso nell’organizzare e disporre il testo: il titolo della storia in mezzo ad una pagina bianca con sotto il suo nome, iniziare a capo della pagina successiva il racconto e i segni di punteggiatura stranamente invertiti, come in inglese e come se lui inconsapevolmente già prevedeva quanto il suo eco avrebbe assunto proporzioni internazionali.

Sawsan Al-Abtah è una professoressa libanese.

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1 commento

  1. clod
    21 Dicembre 2018

    sintesi ben fatta!

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