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Arabia Saudita: il collasso è inevitabile

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Di Nafeez Ahmed. Middle East Eye (02/10/2015). Traduzione e sintesi di Roberta Papaleo.

Lo scorso 22 settembre, un membro della famiglia saudita ha fatto appello a un “cambiamento” nella leadership per evitare il collasso del regno. In una lettera circolata tra i principi sauditi, il suo autore, il nipote del deceduto monarca Abdulaziz Ibn Saud, ha incolpato l’attuale re Salman di aver creato problemi senza precedenti che hanno messo in pericolo la sopravvivenza della monarchia.

“Non saremo capaci di fermare il prosciugamento di denaro, l’adolescenza politica e i rischi militari finché non cambiamo i metodi del processo decisionale, anche se questo dovesse comportare cambiare lo stesso re”, si afferma nella lettera. Anche se il colpo di Stato non è dietro l’angolo, la situazione è allarmante. Come già successo a molti Paesi della regione, l’Arabia Saudita è sull’orlo di una tempesta perfetta di sfide.

Il problema più grande è il petrolio. La fonte primaria delle entrate del regno, ovviamente, è l’esportazione di petrolio. negli ultimi anni, la monarchia ha pompato a livelli record per sostenere la produzione, per mantenere bassi i prezzi del petrolio, per frenare i concorrenti in tutto il mondo che non possono permettersi di rimanere sul mercato con un margine di profitto così ristretto: tutto ciò lastricando la strada verso la petro-dominazione saudita.

Tuttavia, queste abilità non possono durare per sempre. Un nuovo studio ha previsto che l’Arabia Saudita nel 2028 vivrà un picco di produzione petrolifera, seguito da un inesorabile declino – cioè fra soli 13 anni. Ma il problema non si riduce solo alla produzione petrolifera, ma anche alla capacità di tradurla in esportazione per contrastare gli alti tassi di consumo domestici. Un rapporto di Citigroup prevede che la bilancia commerciale crollerà a zero entro 15 anni. Questo significa che le entrate statali, 80% delle quali provengono dalla vendita di petrolio, puntano verso il precipizio.

Come successo con i regimi autocratici di Egitto, Siria e Yemen, in tempi duri il primo taglio alle spese riguarda i sussidi. In questi Paesi, le continue riduzioni ai sussidi, per contrastare l’impatto dell’aumento dei prezzi del cibo e del petrolio, hanno alimentato direttamente il malcontento sfociato poi nelle rivolte della “Primavera araba”. La ricchezza petrolifera dell’Arabia Saudita, che mantiene sostanziosi sussidi per il carburante, per l’alloggio, per il cibo e altri beni di consumo, gioca un ruolo cruciale nell’evitare quel tipo di disordine civile. Mentre le entrate si prosciugano sempre più, la capacità del regno di limitare il dissenso popolare vacillerà, come successo in altri Paesi.

In Iraq, Siria, Yemen ed Egitto, le rivolte popolari e le guerre civili possono essere fatte risalire al devastante impatto che fattori quali la siccità, il declino agricolo e il rapido esaurirsi del petrolio hanno avuto sul potere dello Stato. Come molti dei suoi vicini, tali problematiche, radicate e strutturali, fanno intendere che l’Arabia Saudita è sull’orlo di una prolungata crisi di Stato, un processo che inizierà nei prossimi anni e che diventerà una realtà di fatto nell’arco di un decennio.

Eppure, sembra che il governo saudita abbia deciso che, invece di trarre una lezione dall’arroganza dei suoi vicini, aspetterà che arrivi la guerra, ma farà di tutto per esportarla nella regione nel folle tentativo di estendere la sua egemonia politica e prolungare la sua petro-dominazione.

Sfortunatamente, quei pochi membri della famiglia reale che pensano di poter salvare il loro regno dal suo inevitabile declino con un esperimento di rotazione del regime, non sono meno disillusi di quelli che vorrebbero sostituire.

Nafeez Ahmed è un giornalista d’inchiesta e uno studioso di sicurezza internazionale.

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