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Antonio Gramsci e gli arabi

Di Shawqi Ben Hassan. Al-Araby al-Jadeed (21/05/2015). Traduzione e sintesi di Chiara Cartia.

Antonio Gramsci (1891-1937) faceva parte dell’ambiente culturale italiano degli inizi del ‘900, ma aveva preso le distanze dal solito approccio della letteratura marxista che attaccava gli intellettuali borghesi e ambiva che i pensatori di sinistra emergessero come leader.

Le idee di Gramsci possono essere estrapolate dal loro contesto e aiutarci a capire l’attuale situazione araba, dove la spinta verso il cambiamento è stata frustrata e le controrivoluzioni hanno avuto la meglio. Se una rivoluzione può generare una controrivoluzione, ogni struttura di potere può generare una struttura di potere alternativa e il pensiero di Gramsci descrive l’apparato di quest’ alternativa.

In Sardegna, dove Gramsci nacque, le classi dirigenti e gli intellettuali tradizionalisti controllavano l’educazione e Gramsci mirava a togliere loro questo controllo. Studiò la dimensione culturale di questo dominio e formò il concetto di “egemonia culturale”, che consisteva nel descrivere i mezzi con cui lo stato subordina l’economia e la società.

Gramsci sosteneva che lo Stato governa la società con la repressione quando non può farlo con il consenso. Partendo da quest’idea, provò che le attività delle istituzioni come le scuole, la Chiesa e la stampa erano fondate sulla repressione proprio come la polizia, l’esercito e il potere giudiziario, repressione che era alla base anche di altre attività quali l’urbanistica e la divisione del lavoro. Tuttavia, ciò non significa che non ci fosse un modo per eludere quest’egemonia.

Gramsci immaginava il conflitto tra élite come un conflitto per “una posizione egemonica” e sviluppò il concetto di “strategia politica con una dimensione invisibile”, che chiamava “filosofia della prassi” che era la base degli “Intellettuali organici” per vincere la “guerra di posizione”.

La discussione sull’egemonia era un incentivo per liberarsi dal dominio repressivo dello Stato e un’opportunità per esplorare modi diversi di rifiutare l’autorità.

Il mondo arabo oggi vive soggiogato da una complessa egemonia culturale, l’egemonia dello Stato sulla società da una parte e quella del sistema internazionale sugli Stati dall’altra. Le strategie di entrambe le egemonie si sono evolute anche perché si sono potute avvalere della tecnologia.

Il pensiero di Gramsci secondo il quale “lo Stato ha come obiettivo di creare nuovi capitalisti e promuove le vecchie forme di accumulazione parassitaria del risparmio” si applica perfettamente a qualsiasi Paese arabo, dove i nuovi capitalisti formano un’élite economica parassitaria al servizio del sistema globale. Ma come fa lo Stato a imporre la sua egemonia?

Prima di tutto, sviluppa e complica l’egemonia culturale tramite la conoscenza, le idee, l’arte, ecc. In secondo luogo, congela i conflitti e impedisce che scoppino. Se applichiamo questa questione al mondo arabo, dobbiamo alterarla un poco: come può lo Stato imporre la sua egemonia senza sviluppare i mezzi per imporla? In altre parole, com’è possibile che l’egemonia possa essere imposta tramite strumenti tradizionali di cui ormai la gente è consapevole?

La situazione creata dalle rivoluzioni arabe rientra nel quadro di questa domanda.

In Egitto l’uso della forza bruta indica che c’è stata una falla nello sviluppo dei mezzi dell’egemonia culturale. In Tunisia la democrazia è stata usata come una copertura per ristabilire il vecchio sistema di egemonia culturale com’era prima della rivoluzione, malgrado la bancarotta, perché non c’erano alternative. In altre parole, i residui dei meccanismi dell’egemonia sono stati usati per convincere la gente che non esiste un’alternativa alla vecchia egemonia culturale.

Sia in Tunisia che in Egitto è impossibile spiegare il successo apparente dello Stato nell’imporre la sua egemonia senza prendere in considerazione l’approvazione del sistema internazionale e l’importazione delle competenze occidentali nell’egemonia culturale.

L’élite al governo nel mondo arabo sta trovando delle difficoltà nell’imporre la sua egemonia culturale ma ha ancora la capacità di congelare i conflitti. L’unico modo per uscirne è la guerra di posizione teorizzata da Gramsci.

Tuttavia un cambiamento non può aver luogo fino a quando non si identificano gli ostacoli al progresso e non si sviluppano metodi di pensiero, di visione e di azione. Per sviluppare una comune volontà popolare, bisogna identificare le condizioni necessarie perché questa emerga. Gramsci ci rassicura: “La volontà trova sempre i giusti strumenti per portare il cambiamento”.

Prima che ci sia un cambiamento, la società deve accettare i concetti appropriati ed è questo che manca nel mondo arabo. Perché questi concetti si sviluppino, ci dovrebbe essere un conflitto interno tra i guardiani dello status quo. Sfortunatamente non è ancora successo. Gramsci soleva dire: “Pessimismo dell’intelligenza, ottimismo della volontà”.

Shawqi Ben Hassan è corrispondente da Tunisi per Al-Araby al-Jadeed.

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Chiara Cartia

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  • […] Le idee di Gramsci possono essere estrapolate dal loro contesto e aiutarci a capire l’attuale situazione araba, dove la spinta verso il cambiamento è stata frustrata e le controrivoluzioni hanno avuto la meglio. Se una rivoluzione può generare una controrivoluzione, ogni struttura di potere può generare una struttura di potere alternativa e il pensiero di Gramsci descrive l’apparato di quest’ alternativa. In Sardegna, dove Gramsci nacque, le classi dirigenti e gli intellettuali tradizionalisti controllavano l’educazione e Gramsci mirava a togliere loro questo controllo. Studiò la dimensione culturale di questo dominio e formò il concetto di “egemonia culturale”, che consisteva nel descrivere i mezzi con cui lo stato subordina l’economia e la società. Gramsci sosteneva che lo Stato governa la società con la repressione quando non può farlo con il consenso. Partendo da quest’idea, provò che le attività delle istituzioni come le scuole, la Chiesa e la stampa erano fondate sulla repressione proprio come la polizia, l’esercito e il potere giudiziario, repressione che era alla base anche di altre attività quali l’urbanistica e la divisione del lavoro. Tuttavia, ciò non significa che non ci fosse un modo per eludere quest’egemonia. Gramsci immaginava il conflitto tra élite come un conflitto per “una posizione egemonica” e sviluppò il concetto di “strategia politica con una dimensione invisibile”, che chiamava “filosofia della prassi” che era la base degli “Intellettuali organici” per vincere la “guerra di posizione”. La discussione sull’egemonia era un incentivo per liberarsi dal dominio repressivo dello Stato e un’opportunità per esplorare modi diversi di rifiutare l’autorità. Il mondo arabo oggi vive soggiogato da una complessa egemonia culturale, l’egemonia dello Stato sulla società da una parte e quella del sistema internazionale sugli Stati dall’altra. Le strategie di entrambe le egemonie si sono evolute anche perché si sono potute avvalere della tecnologia. Il pensiero di Gramsci secondo il quale “lo Stato ha come obiettivo di creare nuovi capitalisti e promuove le vecchie forme di accumulazione parassitaria del risparmio” si applica perfettamente a qualsiasi Paese arabo, dove i nuovi capitalisti formano un’élite economica parassitaria al servizio del sistema globale. Ma come fa lo Stato a imporre la sua egemonia? Prima di tutto, sviluppa e complica l’egemonia culturale tramite la conoscenza, le idee, l’arte, ecc. In secondo luogo, congela i conflitti e impedisce che scoppino. Se applichiamo questa questione al mondo arabo, dobbiamo alterarla un poco: come può lo Stato imporre la sua egemonia senza sviluppare i mezzi per imporla? In altre parole, com’è possibile che l’egemonia possa essere imposta tramite strumenti tradizionali di cui ormai la gente è consapevole? La situazione creata dalle rivoluzioni arabe rientra nel quadro di questa domanda. In Egitto l’uso della forza bruta indica che c’è stata una falla nello sviluppo dei mezzi dell’egemonia culturale. In Tunisia la democrazia è stata usata come una copertura per ristabilire il vecchio sistema di egemonia culturale com’era prima della rivoluzione, malgrado la bancarotta, perché non c’erano alternative. In altre parole, i residui dei meccanismi dell’egemonia sono stati usati per convincere la gente che non esiste un’alternativa alla vecchia egemonia culturale. Sia in Tunisia che in Egitto è impossibile spiegare il successo apparente dello Stato nell’imporre la sua egemonia senza prendere in considerazione l’approvazione del sistema internazionale e l’importazione delle competenze occidentali nell’egemonia culturale. L’élite al governo nel mondo arabo sta trovando delle difficoltà nell’imporre la sua egemonia culturale ma ha ancora la capacità di congelare i conflitti. L’unico modo per uscirne è la guerra di posizione teorizzata da Gramsci. Tuttavia un cambiamento non può aver luogo fino a quando non si identificano gli ostacoli al progresso e non si sviluppano metodi di pensiero, di visione e di azione. Per sviluppare una comune volontà popolare, bisogna identificare le condizioni necessarie perché questa emerga. Gramsci ci rassicura: “La volontà trova sempre i giusti strumenti per portare il cambiamento”. Prima che ci sia un cambiamento, la società deve accettare i concetti appropriati ed è questo che manca nel mondo arabo. Perché questi concetti si sviluppino, ci dovrebbe essere un conflitto interno tra i guardiani dello status quo. Sfortunatamente non è ancora successo. Gramsci soleva dire: “Pessimismo dell’intelligenza, ottimismo della volontà”. Shawqi Ben Hassan è corrispondente da Tunisi per Al-Araby al-Jadeed. FONTE:http://www.alaraby.co.uk Traduzione e sintesi di Chiara CartiaTITOLO ORIGINALE ARTICOLO:”Antonio Gramsci e gli arabi” http://arabpress.eu/antonio-gramsci-e-gli-arabi/68191/ […]