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All’indomani del referendum curdo

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La vittoria del sì al referendum per l’indipendenza del Kurdistan iracheno apre diverse questioni sul futuro delle relazioni del governo regionale con l’Iraq e i paesi vicini.

Di Bakr Sadqi. Al-Arabi Al-Quds (28/09/2017). Traduzione e sintesi di Veronica D’Agostino.

Nonostante tutte le difficoltà, le intimidazioni e gli avvertimenti lanciati da parte dei paesi limitrofi e dalla stessa comunità internazionale, il referendum per l’indipendenza del Kurdistan iracheno si è svolto pacificamente e con mezzi democratici. I risultati non hanno tradito le aspettative: secondo le prime stime, l’affluenza alle urne degli aventi diritti al voto è stata del 72% e i sì hanno raggiunto il 93%.

Questo referendum ha permesso alla regione del Kurdistan di far valere il proprio diritto all’autodeterminazione dei popoli, registrando per la prima volta un’ampia partecipazione dell’opinione pubblica sia in Iraq, sia nei paesi limitrofi interessati, sia all’interno della comunità internazionale.

Per quanto riguarda l’opinione pubblica irachena, nella sua divisione araba, la tensione tra sunniti e sciiti ha giocato un ruolo importante rispetto alle posizioni irachene sul referendum e sul diritto all’autodeterminazione dei curdi. Nelle aree di conflitto, molti arabi (sunniti) hanno votato sì, mentre coloro che hanno da sempre portato avanti l’ideologia del nazionalismo arabo si sono trovati difronte a due opzioni non arabe, da un lato Baghdad, legata all’Iran, e dall’altro Erbil, città prettamente curda. Per ciò che concerne i paesi limitrofi interessati, l’opinione pubblica araba in Siria sembra aver espresso un consenso favorevole all’indipendenza curda, più di quanto ci si aspettasse.

In questo contesto, due aspetti assumono rilevanza: l’indipendenza territoriale, la quale deve restare entro i confini della regione curda, senza aspirare ad espandersi oltre, verso i paesi vicini, e l’importanza del rispetto del pluralismo etnico, culturale e religioso presente all’interno della regione. A tal proposito, il Consiglio supremo per il referendum ha già diffuso un documento a difesa e a garanzia dei diritti delle componenti non curde all’interno della regione, ma ciò non significa che esso verrà sicuramente introdotto nella Costituzione del futuro paese.

Le sfide che quest’ultimo dovrà affrontare prossimamente sono molteplici. La strada verso l’indipendenza della regione curda dal governo centrale di Baghdad è infatti molto lungo e certamente non privo di ostacoli, ma il popolo curdo ha espresso la sua volontà e il governo regionale autonomo farà di tutto per far partire i negoziati con i paesi vicini e la comunità internazionale. Inoltre, per mettere a tacere le minacce di Iraq, Iran e Turchia, probabilmente esso sarà costretto a rinunciare ad uno sbocco sul mare e a un’apertura al mondo. D’altro canto però, è pur vero che questi stati non potranno formare una vera e propria alleanza contro il territorio curdo, poiché i loro stessi interessi economici e politici ne sarebbero compromessi. La vera sfida della regione sarà pertanto riuscire a creare istituzioni statali concrete e a fornire un modello politico attraente che giustifichi la sua indipendenza dall’Iraq e convinca la comunità internazionale a riconoscerla.

Il rischio, però, è che il Kurdistan possa avvicinarsi a Israele: il rapporto con uno stato che si fonda sull’occupazione e il razzismo difficilmente può legittimare la propria causa per l’indipendenza. Tuttavia, dal momento che né l’Iraq, né l’Iran, né la Turchia sono nella posizione di poter intraprendere azioni militari al di fuori dei propri confini, la regione del Kurdistan dovrà far uso di tutte le capacità e i mezzi diplomatici a disposizione per evitare ogni tipo di provocazione e intraprendere il suo cammino verso l’indipendenza.

 

Bakr Sadqi è uno scrittore siriano.

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