L’Algeria tra sogni energetici e incubi climatici

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Di Kieran Cooke. Middle East Eye (08/02/2017). Traduzione e sintesi di Roberta Papaleo.

In teoria, il progetto sembra la soluzione ideale a molti problemi dell’Algeria. Si stima che il Paese possieda vaste risorse di gas e olio di scisto, talmente vaste da classificarsi terzo dopo Cina e Argentina.

Negli ultimi quattro anni si è sviluppata l’idea che queste risorse, oltre che per guadagnare miliardi dalle importazioni, vengano usate per soddisfare il sempre più esigente mercato domestico. E il governo algerino ha detto di voler investire 70 miliardi di dollari nel progetto: “Tutte le risorse, convenzionali o meno, sono un dono di Dio ed è nostro dovere usarle per lo sviluppo della nazione”, ha dichiarato il presidente Abdelaziz Bouteflika. Eppure dopo tanto clamore e diversi anni di pianificazione, finora si è mosso poco.

Nel 2014, la compagnia statale Sonatrach ha scavato due pozzi esplorativi vicino In Salah, una città a 1.000 km a sud-est di Algeri di 30.000 abitanti, che per lo più dipendono da un modello agricolo nomade. I risultati sono stati definiti “molto promettenti” e indice di “risorse fondamentali” dal ministro dell’Energia Youcef Yousfi. Ma la popolazione locale non ha condiviso l’entusiasmo del governo: all’inizio del 2015, in migliaia si sono riuniti per manifestare a In Salah e nei centri vicini.

Scavare pozzi di olio di scisto – il cosiddetto fracking – implica il pompaggio di milioni di litri d’acqua mista a sabbia e agenti chimici del sottosuolo ad altissima pressione. L’Algeria è tra i Paesi più aridi del mondo. Le popolazioni che vivono nel sud del Paese dipendono quasi interamente da un sistema di pompaggio idrico nel profondo Sahara. I manifestanti sostenevano che i pozzi di scisto avrebbero derubato la popolazione locale dell’acqua e che gli agenti chimici avrebbero inquinato la falda acquifera, già minacciata dall’eccessivo sfruttamento delle sue risorse.

I manifestanti non erano solo arrabbiati per le conseguenze ambientali delle esplorazioni. Per molti anni, le persone del sud si sono sentite ignorate in termini di sviluppo economico e sociale. Nonostante i territori meridionali costituiscano quasi il 90% di tutta la superficie algerina, sono abitati solo dal 9% della popolazione. “Non siamo cavie da laboratorio”, ha detto un manifestante. “Tutto quello che abbiamo è la nostra acqua, ne abbiamo bisogno per le nostre colture e per i nostri animali”.

Da parte sua, il governo ha accusato i manifestanti di essere stati pagati dall’esterno. Man mano che le proteste aumentavano, con sit-in presso gli impianti petroliferi stranieri, sono stati inviati agenti di polizia e soldati. Sono stati lanciati lacrimogeni, diversi manifestanti sono rimasti feriti, molti arrestati e poi incarcerati. Il ministro Yousfi ha perso il suo posto a metà del 2015, a quanto pare per non essere riuscito a gestire le manifestazioni. Il governo, di certo, teme nuovi disordini. Il successore, Salah Khebri, è rimasto in carica un anno, prima di essere rimpiazzato dall’attuale ministro, Nouredine Bouterfa.

Gli ostacoli al progetto sull’olio di scisto, però, non finiscono qui. Pur essendo altamente sviluppato in termini di gas e petrolio, l’industria del fracking algerino ha bisogno di esperti e capitali stranieri per decollare. Le manifestazioni possono essere state uno dei motivi di allontanamento delle entità esterne, ma anche la sicurezza è un fattore da tenere in conto.

All’inizio del 2013, 40 impiegati di un impianto di gas nel sud del Paese – gestito dalla norvegese Statoil insieme all’inglese BP e alla Sonatrach – sono rimasti uccisi in un attacco da parte di miliziani islamisti, presumibilmente venuti dalla Libia. Un altro impianto vicino a In Salah, gestito dalle stesse compagnie, è stato attaccato da Al-Qaeda lo scorso anno.

Anche il fattore climatico costituisce un problema per gli investitori, soprattutto ora che l’Europa cerca sempre più di allontanarsi dai carboni fossili. L’Algeria stessa ha vissuto dei cambiamenti a livello climatico, quando lo scorso anno è stata colpita da ondate di caldo senza precedenti. Inoltre, l’andamento delle precipitazioni è diventato più incostante in tutto il Nord Africa.

Poi ci sono i fattori economici a dissuadere le aziende estere dalla corsa alle abbondanti risorse dell’Algeria. Petrolio e gas rappresentano circa il 60% delle entrate statali e più del 95% di quelle dell’export, cosa che rende la Sonatrach una delle maggiori potenze economiche del territorio. Nel corso degli anni, il gigante algerino ha gelosamente conservato il controllo sulla ricchezza energetica del Paese. Nonostante varie ristrutturazioni, la Sonatrach vuole ancora mantenere la maggioranza sui progetti legati a petrolio e gas, altro fattore che scoraggia gli investimenti esteri.

Più in generale, la situazione politica del Paese solleva alcuni timori. Il presidente Bouteflika, 79 anni di cui gli ultimi 17 in carica, si vede raramente in pubblico e la sua salute traballa. Si vocifera di una sempre maggiore lotta per il potere e di una potenziale nuova guerra civile, come quella degli anni ’90. Il governo cerca di risparmiare tagliando i sussidi per l’elettricità, l’acqua e il cibo, rischiando di provocare altri disordini.

Nel frattempo, le proteste nel sud contro il gas di scisto sono state smorzate, ma i manifestanti sono ancora attivi. Uno di loro, Mohad Gasmi, attore chiave del movimento di opposizione ai pozzi nella regione di In Salah, ha recentemente dichiarato che la gente del sud non ne può più di essere ignorata e marginalizzata: “Abbiamo gli strumenti per agire e le persone vogliono agire. Appena compariranno i pozzi, noi saremo lì, pronti a protestare”.

Kieran Cooke è un ex corrispondente per BBC e Financial Times.

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