Stupri, matrimoni forzati, autoimmolazioni imposte, donne date in spose per “risarcire” un’offesa e risolvere faide e controversie tribali (ba’ad), o sfregiate con l’acido, matrimoni tra bambini, questi e molti altri crimini, dall’agosto 2009 vengono perseguiti in Afghanistan da una legge, la EVAW (Elimination of Violence against Women). Annientate nel corpo e nella dignità, le donne afghane, spesso, non hanno la forza di denunciare e quando lo fanno, ottenere giustizia diventa davvero difficile se si considera il complesso contesto sociale in cui tali crimini si consumano. Ma una legge può bastare per difenderle da quegli orrori che le segnano per sempre? Non basta se non viene applicata in modo incisivo e i reati non vengono adeguatamente perseguiti. E’ quanto emerge dall’ultimo rapporto dell’ UNAMA (United Nations Assistance Mission in Afghanistan), l’organizzazione dell’Onu che insieme al governo afghano promuove il processo di ricostruzione e sviluppo del paese, la tutela dei diritti umani, delle donne in particolare, il sostegno internazionale per restituire stabilità all’Afghanistan. Il rapporto, dal titolo “Ancora una lunga strada da percorrere. Attuazione della legge sulla eliminazione della violenza contro le donne in Afghanistan”, fa il punto sui risultati prodotti dall’applicazione della legge Evaw evidenziando, da un lato, un aumento di denunce da parte delle vittime e quindi un aumento dei casi di violenza, dall’altro la mancanza, da parte delle autorità afghane, di un’applicazione massiccia della legge che invece andrebbe implementata.
Ostacoli di diversa natura ne impediscono un’attuazione efficace e costante e inducono le autorità a sottovalutare l’entità stessa delle denunce. Ancora troppi i tabù, le barriere culturali, le leggi tribali, le resistenze da parte dei religiosi. Troppo spesso i casi di violenza vengono risolti dalla jirga, l’assemblea degli anziani, o dalla shura, il consiglio locale, ovvero, tradizione e consuetudini prevalgono sul potere delle autorità giudiziarie ostacolando così, l’accesso delle donne alle istituzioni che dovrebbero difenderle.Sono fonte di crescente preoccupazione inoltre, i tentativi di dialogo con i talebani che potrebbero compromettere ulteriormente i già tanto violentati diritti delle donne, a causa di eventuali compromessi. Dai vari rapporti dei media e degli attivisti di diritti umani, emerge un quadro che vede le donne afghane, purtroppo, ancora vittime di violenze sia domestiche che pubbliche proprio a causa di ignoranza, povertà, fanatismo e corruzione nel sistema giudiziario.
Il rapporto Unama, frutto di oltre 200 consultazioni con ufficiali giudiziari, funzionari del governo e polizia, e dell’analisi dei dati raccolti monitorando i casi di violenza in 22 province afghane dall’ottobre 2011 al settembre 2012, ha evidenziato non soltanto il numero di denunce ma anche il numero di processi e condanne ad esse seguiti grazie all’applicazione della legge Evaw da parte delle istituzioni giudiziarie e della polizia afghana. 16 province hanno fornito dati molto dettagliati. Su 470 casi, 163 accusati sono stati rinviati a giudizio e fra questi, 100 sono stati condannati. Il rinvio a giudizio di 72 dei 163 accusati si è basato proprio su articoli della legge Evaw e, dei 72 capi d’imputazione ad essa legati, ben 52 hanno portato alla condanna finale. Sono segnali importanti nelle piccole realtà ma rispetto ai 4010 casi registrati dalla Commissione Indipendente per i Diritti Umani in Afghanistan, il numero di quelli risolti applicando la legge Evaw rimane ancora troppo basso.
Dal rapporto emerge anche il prezioso lavoro dei Dipartimenti provinciali degli Affari femminili e delle commissioni sull’eliminazione della violenza contro le donne. Da ricordare a questo proposito l’omicidio di Nadia Sidiqi, direttrice ad interim della sede provinciale di Laghman del Ministero per gli Affari femminili, uccisa nel dicembre scorso, come la collega che l’aveva preceduta Hanifa Safi, uccisa pochi mesi prima, nel luglio 2012. In quell’occasione Horia Mosadiq, ricercatrice di Amnesty International sull’Afghanistan, dichiarò: “Non si è trattato di un atto di violenza isolato. Il fatto che la predecessora di Nadia Sidiqi sia stata assassinata appena pochi mesi fa è indice del fallimento delle autorità afgane, che non hanno saputo fornire adeguata protezione ad Hanifa Safi, a Nadia Sidiqi e ad altre donne impegnate in favore dei diritti umani” […]“Il governo dell’Afghanistan deve inoltre dare uniforme attuazione alla Legge sull’eliminazione della violenza contro le donne. Entrata in vigore nell’agosto 2009, criminalizza i matrimoni forzati, lo stupro e altri atti di violenza contro le donne ma viene applicata sporadicamente” .
Una legge scarsamente applicata dunque ma di grande importanza anche per colmare le carenze insite nel codice penale afghano che non è in grado di coprire tutte le varie forme di crimini contro le donne, includendo soltanto degli accenni negli articoli 424-429. Nel codice ad esempio,viene contemplato l’adulterio ma non lo stupro.
La legge Evaw invece, tra i vari reati cita esplicitamente lo stupro e anche le percosse da punire con specifiche pene, oltre a numerosi altri crimini tra cui il matrimonio ba’ad, ovvero una pratica che vede la donna forzatamente data in sposa a chi ha subito un’offesa o un torto, assumendo così “valore” di risarcimento. Si tratta di una pratica vietata anche dall’articolo 517 del codice penale afghano ma ancora usata per trattare i casi a livello locale, anziché rivolgersi alla polizia o alla Procura Generale. In tal modo anche reati gravi come stupri e omicidi finiscono per essere gestiti dalla jirga e dalla shura. Tra i casi che hanno maggiormente richiamato l’attenzione dei media internazionali e che si sono avvalsi dell’applicazione della legge Evaw, ricordiamo quello di Lal Bibi, ragazza diciottenne di Kunduz, vittima di ba’ad, stupro e tortura da parte di un comandante di polizia che voleva vendicare lo stupro subito da sua figlia per mano del cugino di Lal. L’uomo è stato condannato a 16 anni di carcere per violenza sessuale, abuso di autorità e percosse, in base all’articolo 17 della legge Evaw e agli articoli 409, 285, 156, e 39 del codcie penale; il caso di Zhara di Herat, violentata da suo padre e minacciata di morte se avesse raccontato il fatto alla madre. Processato nel novembre 2012 , è stato condannato a morte ma è ricorso in appello. Un altro caso drammatico ma risolto grazie all’applicazione della Evaw, è quello di Sahar Gul, quindicenne di Baghlan, data in ba’ad dal suo fratellastro, torturata dal marito e dai suoceri per mesi e tenuta in una cella perché rifiutava di prostituirsi, fino a quando la polizia non è venuta a conoscenza dell’orrore subito dalla ragazza nel dicembre 2011. Marito, suocera e cognata sono stati condannati a 10 anni di carcere in base all’articolo 17 della legge Evaw.
Considerata antislamica da molti religiosi e anche da politici di un certo livello, la Evaw è una legge scomoda che ha creato notevoli polemiche:”Alcuni dei nostri giudici e mullah – ha dichiarato a AAN l’attivista per i diritti delle donne, Wazhma Frogh, – non hanno abbastanza conoscenza della shari’a e di ciò che è scritto nel Corano e negli hadith, così pensano che gran parte del materiale della legge Evaw provenga da leggi straniere, mentre la maggior parte dei suoi temi deriva da leggi di altri paesi islamici, come le leggi sulla famiglia di Iran, Turchia e Malesia. Un altro problema inoltre, è che i Pubblici Ministeri non conoscono ancora tutti i suoi articoli. Abbiamo in programma di creare commissioni per accrescere la consapevolezza della Evaw in tutte le 34 province, ma fino ad oggi abbiamo potuto farlo solo in 17 di esse”.
Il 2 gennaio 2013 sono state raccolte 3000 firme, tra cui quella del Presidente Hamid Karzai e di molte altre Autorità, per chiedere una maggiore applicazione della legge in questione. E’ in corso una campagna di sensibilizzazione che mira a estenderla a tutto l’Afghanistan e non soltanto ad alcune province. Piccoli passi da non sottovalutare.
“Se i progressi nell’attuazione della legge Evaw si consolideranno e si amplieranno, – ha dichiarato Jan Kubis, Rappresentante Speciale del Segretario Generale per l’Afghanistan e capo di UNAMA.- le donne afgane potranno assumere un ruolo più attivo nei processi di pacificazione e nella vita politica”[…]“I progressi nell’applicazione della legge Evaw potranno contribuire a scoraggiare in Afghanistan le pratiche nocive e la violenza contro le donne che a lungo hanno impedito loro di partecipare alla vita pubblica e di far sentire le loro voci nel processo decisionale, di pace e di riconciliazione”.
Come dire, ancora una lunga strada da percorrere…
Katia Cerratti
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