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La molestia: un crimine della società

Di Habba ‘Abdalstar. Al-Ahram (19/06/2014). Traduzione e sintesi di Marianna Barberio.

Malgrado l’assenza di statistiche dettagliate, in Egitto si evidenzia un incremento di aggressioni fisiche e sessuali nei confronti della donna, specie quando la molestia viene utilizzata negli ultimi anni anche come arma per punire il dissenso politico. L’indagine che segue evidenzia le cause che spingono all’aggressione e la negligenza da parte legislativa.

Diversi membri di associazioni e organizzazioni che operano in difesa dei diritti umani, in particolare dei diritti delle donne, hanno rilevato il degrado sociale e morale nonché religioso alla base della discriminazione femminile: tanto nella sfera intima e privata, quale la famiglia, quanto in quella pubblica, per le strade, presso istituzioni educative e lavorative.

Ci riferiamo al dottor Abd al-Athim, docente di psichiatria all’Università del Cairo, che include la violenza sessuale tra le diverse classi della società, persino tra quelle più abbienti, dove il ruolo della donna è limitato a mero oggetto di piacere. La stessa linea di pensiero è sostenuta dalla dottoressa Azza Kamel, fondatrice dell’iniziativa Shuftu taharrush (in dialetto egiziano “Ho testimoniato la molestia”) che ha registrato 500 casi di aggressioni fisiche e sessuali nei confronti della donna in seguito allo scoppio della rivoluzione nel 2011. Molto spesso sono le vittime a tacere su quanto accaduto, per timore dell’opinione pubblica. Infatti, la presenza della donna in ogni spazio e tempo, al pari del suo abbigliamento, sembra giustificare per molti la violenza o lo stupro.

A tal riguardo viene criticato l’art. 306 del Codice Penale emanato dall’ex presidente Adly Mansour, in cui la definizione di molestia appare del tutto ambigua. La legge egiziana infatti circoscrive lo stupro al solo rapporto sessuale purché completo, avvenuto contro il consenso della vittima; al contrario, la molestia viene screditata come mortificazione o offesa all’onore della donna, nonostante si tocchino letteralmente parti del corpo definite “proibite” o si attesti l’avvenuta penetrazione dell’imene tramite referto medico.

Anche Michael Rauf del centro El Nadim e Moustafa Mahmoud dell’iniziativa Nadara (entrambi attivi nell’accoglienza delle vittime di piazza Tahrir) insistono sulla revisione e modifica degli artt. 267, 268, 269  e 306 del Codice Penale egiziano, per diffondere la gravità del pericolo, per garantire protezione alla donna a livello mediatico. L’appello è il ritorno al vero islam, quando la donna condivideva insieme all’uomo l’ideale di sviluppo sociale.

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