Di Kamel Daoud. Nouvelobs (17/12/2014) Traduzione e sintesi di Chiara Cartia
Questione affascinante: com’è che c’è chi sente minacciata la propria identità, la propria convinzione religiosa, la propria concezione della storia e la propria memoria appena qualcuno la pensa diversamente? La paura di essere nell’errore spinge a imporre l’unanimità e a combattere la differenza? C’è dietro la fragilità delle proprie convinzioni intime? L’odio di sé che passa attraverso l’odio dell’Altro? La caduta di Granada? È un labirinto.
È strano: chi difende l’Islam come pensiero unico lo fa spesso con violenza e odio. Chi si sente arabo ha una tendenza a trasformare la propria identità in un fanatismo più che viverla con tranquillità. Chi parla di nazionalismo e di religione è spesso aggressivo, violento, infrequentabile e miope: vede il mondo solo come un covo di manipolazioni, complotti, attacchi orditi dall’Occidente.
Dio ha creato un’unica coppia nel mondo: l’Occidente e “loro” (i fanatici). Il resto non li interessa, si può anche morire a migliaia in Africa dal momento che non li riguarda.
Ma perché l’identità è morbosa? Perché la fede significa essere diffidenti? Ma cosa pensa chi vi attacca ogni volta che la pensate diversamente rispetto alla nazionalità, alle convinzioni religiose? Perché reagisce come un proprietario a cui avessero tolto la proprietà, un prosseneta? Perché si sente minacciato dall’opinione degli altri?
Strano. Il fanatico non è neanche capace di vedere ciò che ha davanti agli occhi: un Paese debole, un mondo “arabo” povero e in rovina, una religione che un tempo dava alla luce a Ibn Arabi e che oggi è ridotta a dei riti e a delle fatawa necrofaghe. Non si tratta di distinzioni ideologiche, linguistiche o religiose: l’imbecille identitario può essere francofono o arabofono, credente o meno.
Ma torniamo alla questione dell’identità esasperata: di cos’è sintomo? Del diniego: strade sporche, edifici orribili, moneta in ginocchio, Presidente malato, una decina di migranti uccisi in un autobus mentre stavano rimpatriando, dipendenza dal petrolio, livello scolastico misero, delinquenza e comitati di sorveglianza, corruzione, rivolte, stupri.
Niente di tutto ciò dà fastidio, salvo il ginocchio della donna, l’opinione di Kamel Daoud, il film “L’Oranais”, l’Occidente in generale, il bikini in particolare e il caso di Israele come struttura di immaginari morbosi.
Perché tutto ciò esiste? Perché l’anima algerina è accerchiata da una muta di cani acuti e di orchi?
Kamel Daoud è giornalista nel quotidiano Quotidien d’Oran in cui si occupa della rubrica più letta in Algeria.
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