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Vogliono che le donne di Gaza vivano nell’Età della Pietra

Gaza, foto di Mohammed Salem. Reuters
Gaza, foto di Mohammed Salem. Reuters
Gaza, foto di Mohammed Salem. Reuters

di David Alandete (El Pais 06/06/2013). Traduzione di Claudia Avolio.

Samah Ahmad non ha paura. Devota musulmana, si definisce ribelle per natura. Ma è disposta ad arrivare dove può per contenere l’offensiva islamista del gruppo Hamas, che governa la Striscia di Gaza. “Ciò che facciamo per la religione dev’essere una nostra decisione personale, non perché ce lo impongono,” dice. È una delle 67 donne palestinesi iscritte a una maratona che doveva svolgersi il 10 aprile a Gaza. “Hamas ha proibito a noi donne di partecipare e gli organizzatori hanno cancellato la maratona,” rivela. “È incredibile: che qualcuno di Hamas mi venga a spiegare dove – nel Corano o nelle leggi palestinesi – si dice che una donna non può prendere parte a una maratona”. Le notizie della cancellazione della maratona si sono diffuse in tutti i media del mondo, causando indignazione in occidente. Nella Striscia, tuttavia, è stato solo un aneddoto in più nella lunga saga di rimostranze all’indipendenza delle donne di Gaza.

La stessa Samah Ahmad, 32 anni, ha cicatrici che lo dimostrano. In marzo è stata accoltellata, in una manifestazione a favore della riunificazione palestinese. “Prima mi hanno aggredita con un coltello, poi mi hanno arrestata, per ore, mentre sanguinavo,” dice. “Ho visto chi era – uno degli ufficiali del Governo, in uniforme,” aggiunge, “Così ci proteggono quelli che governano a Gaza”. Non è che Samah sia qualcuno radicalmente secolare: porta il velo. “Perché voglio così,” chiarisce. Nel 2007 ha compiuto il pellegrinaggio a La Mecca. Allora cercava di indossare abiti consoni a una rigorosa interpretazione del Corano: lunghe vesti e forme diritte. Quando è tornata, dopo che Hamas aveva vinto le elezioni legislative palestinesi, la Striscia di Gaza era scenario di una guerra tra questo gruppo islamista e il secolare Al-Fatah, che sarebbe stato espulso in Cisgiordania solo poche settimane più tardi. “Allora, nelle strade si è iniziato a dire che la polizia stava imponendo l’uso del hijab e io ho deciso di vestirmi come ora, con camicia e pantaloni. E l’ho fatto perché credo in Dio, ma perché sono io a volerlo, non perché qualcuno mi dica che devo farlo”.

Il problema sorge quando il proprio credo non è quello di Hamas. A Gaza abitano circa 3000 cristiani ortodossi. La loro religione non impone il velo, qualcosa che può rendere il semplice atto di camminare per la strada una odissea in sé. Noha el Suri, segretaria di 28 anni, cerca la compagnia di qualche maschio della famiglia quando va a fare la spesa o al ristorante. Non sempre può contare su questa protezione maschile. Un giorno in cui si è recata in una caffetteria del centro della città di Gaza, un uomo l’ha incrociata insultandola, spiaccicandole un gelato sulla faccia e sul vestito, con l’accusa di irriverenza. “Vogliono imporre il velo a tutte le donne, anche alle non musulmane,” afferma. “Non sanno che io sono cristiana, e danno per scontato che debba essere musulmana perché vivo qui, accade spesso. Quando incontro qualche uomo per la strada sento commenti, mi dicono che non m’importa di Dio, che non ho paura di quel che accadrà nei giorni della fine e cose simili,” aggiunge. Noha crede che se portasse il velo la sua vita sarebbe molto più facile a Gaza. “Ma alla fine non si tratta solo di religione, è qualcosa che tocca chi sono io. Non mi pare buono che qualcuno non possa vivere la propria vita in modo libero,” dice ancora la donna.

Questa grande campagna di sforbiciate alle libertà femminili non tocca solo le donne. Adnan Barakat, parrucchiere di 47 anni, è stato arrestato due anni fa. Il delitto: tagliare i capelli alle donne. “È l’unica cosa che so fare, in realtà. Lo faccio da 30 anni,” dice. Parla in un magazzino che dista alcuni isolati dal suo negozio di parrucchiere, nel quale ora lavorano soltanto sua moglie e due impiegate. “Se ci sono clienti donne, lì dentro possono restare solo altre donne: è quanto esige Hamas,” fa notare. Quando l’hanno arrestato, gli hanno fatto firmare un documento in cui si impegnava a non mettere piede nel proprio negozio se ci fossero state clienti donne. E anche così, Adnan è stato fortunato. In due occasioni, al parrucchiere che si trova davanti al suo hanno messo degli esplosivi davanti alla porta, che non hanno causato feriti ma danni materiali. “Alla fine l’hanno avuta vinta: al momento non c’è uomo a Gaza che tagli i capelli di una donna,” dice. Alcuni parrucchieri hanno fatto come Adnan e hanno lasciato i negozi a sole donne. Altri hanno chiuso. “Non è solo Hamas, sono molti gruppi, come i salafiti o i jihadisti, che vogliono scambiare le leggi con la religione,” dice, “Vogliono che viviamo nell’Età della Pietra”.

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