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Vertice UE-Turchia: davvero ‘storico’?

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Di Seda Serdar. Deutsche Welle (30/11/2015). Traduzione e sintesi di Roberta Papaleo.

A prima vista, il vertice tra Unione Europea e Turchia sembra costituire un grande successo per entrambe le parti, un vero progresso. Bruxelles ha accettato di aiutare finanziariamente Ankara, che per anni ha affrontato da sola la crisi dei rifugiati. Allo stesso tempo, entrambe le parti hanno deciso di agire insieme per affrontare la questione, nonché di aumentare il dialogo negli ambiti dell’economia, dell’energia e della politica.

Al di là di questo, le parti hanno anche deciso di proseguire con le negoziazioni e aprirne un nuovo capitolo a metà dicembre. Se tutto va come pianificato, entro l’ottobre 2016 verranno mitigati i requisiti per i visti per i cittadini turchi che vogliano visitare l’area Schengen.

Troppo bello per essere vero? Probabilmente sì. Il messaggio dei leader europei è chiaro: la questione visti è strettamente connessa all’accordo di riammissione.

Per far sì che l’accordo sui rifugiati piaccia al pubblico turco, gli è stata presentata una fantastica soluzione: viaggiare in Europa senza visto, rivedendo anche l’eventualità della membership nell’Unione. Qualsiasi turco che abbia viaggiato in Europa o ha parenti in un Paese europeo di certo apprezzerà un tale sviluppo.

Tuttavia, si tratta solo di un’eventualità, non di una garanzia. Per prima cosa, l’Europa deve essere certa che il piano di tenere i rifugiati siriani in Turchia funzioni davvero. I commenti del presidente francese François Hollande sul fatto che i terroristi si siano infiltrati tra i rifugiati per entrare nel Vecchio Continente, spiega l’urgenza degli europei.

L’esito positivo di questo accordo è che la Turchia finalmente affronterà la crisi dei rifugiati in modo più sistematico. Attualmente, dei 2,2 milioni di rifugiati presenti sul territorio, solo il 14% vive in campi. Il resto è sparpagliato nel Paese e, nonostante la maggior parte di loro sia regolarmente registrata, sono lungi dall’essere integrati.

Firmando questo accordo, la Turchia in qualche modo accetta il fatto che i rifugiati siriani diventino parte della società turca e che rimarranno nel Paese. D’altro canto, l’Europa sta cercando di fare tutto quanto in suo potere per assicurarsi che questa resti più che altro una realtà solo turca, invece che sempre più europea.

Sedici anni fa, quando venne annunciata la candidatura ufficiale della Turchia, venne chiarito subito che le negoziazioni sarebbero iniziate ma che si sarebbe trattato di un processo “senza limiti precisi”. Questo significava che anche se tutti i capitoli delle negoziazioni vengono aperti e chiusi con successo, non c’è assolutamente alcuna garanzia che la Turchia venga accettata come Stato membro.

Prima di questo vertice “storico”, la Cancelliera tedesca Angela Merkel aveva ribadito il concetto, forse non così ad alta voce come in passato. Anche il presidente della Commissione Europea, Jean-Claud Junker, ha dichiarato dopo il summit che le due parti hanno visioni diverse sulla libertà di stampa. Queste sobrie dichiarazioni sono discreti indicatori delle intenzioni dell’UE.

Senza indirizzarsi direttamente al deficit democratico della Turchia, l’UE sta perdendo la sua credibilità, anche quando dice di non avere nessuna seria intenzione di integrare la Turchia. Se le intenzioni sono queste, perché l’UE sta cercando di appioppare il fardello maggiore alla Turchia e perché non espone in modo chiaro i principi su cui è stata fondata?

Perciò la danza della vittoria per questo “storico” summit è solo un’illusione, se lo scopo finale deve essere la membership. Tuttavia, se lo scopo finale è quello di minimizzare l’afflusso di rifugiati in Europa e di vendere il sogno europeo agli elettori del primo ministro Ahmet Davutoglu, allora sì, si tratta un vero successo.

Seda Serdar è una giornalista turca.

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