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Vertice NATO in Turchia: “We are the World”

NATO Turchia

Di Nehmet Solmaz. Daily Sabah (13/05/2015). Traduzione e sintesi Carlotta Caldonazzo.

Ad Adalia, al vertice dei ministri degli Esteri dei Paesi NATO, il primo ministro turco Ahmet Davutoğlu ha sottolineato il ruolo cruciale e di grande responsabilità della Turchia. Al centro dei colloqui infatti sono stati i cartelli del jihad di Daesh (ISIS) e la necessità di riportare la stabilità nei Paesi in cui imperversano. Collaborazione la parola chiave, soprattutto in materia di sicurezza. Poi i ministri degli Esteri hanno cantato in coro la canzone “We Are The World”, scritta nel 1985 da Michael Jackson e Lionel Richie. All’epoca, il gruppo di star del pop statunitense United Support Artists (USA) for Africa aveva cantato questo invito alla pace destinando i ricavi all’Etiopia. Ad Adalia, il Patto Atlantico si è riunito sotto il motto: “Se vuoi la pace prepara la guerra”.

Con la guerra civile siriana entrata ormai nel suo quinto anno e i cartelli del jihad che resistono ai colpi della coalizione internazionale approfittando di scenari devastati dalla geopolitica internazionale, era prevedibile che l’accento cadesse anche sulla difficile posizione della Turchia, tra i circa due milioni di rifugiati e la minaccia di infiltrazioni al confine con Siria e Iraq. Di questo ha parlato Davutoğlu, che ha tenuto a sottolineare il diverso atteggiamento di Ankara in materia di accoglienza rispetto all’Europa. “Dodici milioni di siriani sono rifugiati e sfollati interni” ha ricordato “e in Turchia ce ne sono più di 1,7 milioni”. Per accoglierli la Turchia ha speso 5,6 milioni di dollari, contro i 356 milioni di dollari destinati dall’intera comunità internazionale agli aiuti. Al vecchio continente un riferimento anche a proposito della crisi ucraina, che il primo ministro turco considera un segnale di “quanto siano fragili la sicurezza e la stabilità in Europa”. Altra puntualizzazione, “mentre tendiamo la mano all’Ucraina non dobbiamo dimenticare le sofferenze del popolo della Crimea” e “scongiurare l’isolamento dei tatari”. Lo scorso 29 aprile la Turchia ha infatti inviato una delegazione in Crimea per valutare la situazione dall’annessione alla Russia nel 2014.

Questione russo-ucraina a parte, e senza che sia stata toccata la questione dello Yemen (ancora bombardato dalla coalizione sunnita a guida saudita), il tema principale dell’incontro, annunciato in apertura dal segretario generale della NATO Jens Stoltenberg, è stata la necessità di intensificare gli sforzi per combattere il terrorismo e Daesh. La soluzione, anche secondo Davutoğlu, è collaborare e coordinare l’impegno dei singoli Paesi, agendo al contempo sulle cause profonde dell’ascesa e della capacità di resistenza dei cartelli del jihad, a livello “militare, politico, economico e umanitario”. In questo il ruolo della Turchia è delicato per la sua posizione strategica e il suo peso nella geopolitica regionale, come aveva ricordato recentemente il vice segretario di stato USA Antony Blinken. Ankara infatti deve contrastare i flussi dei cosiddetti foreign fighters, che tentano continuamente di raggiungere Siria e Iraq attraverso la Turchia. Dal vertice di Adalia dunque è giunta anche una risposta agli appelli del governo turco, che oltre a rafforzare le misure di sicurezza negli aeroporti, nelle stazioni e ai valichi di frontiera, ha chiesto più impegno alla comunità internazionale. Secondo il ministero degli Interni turco, finora circa 13.000 persone sono state respinte e 1.300 espulse.

Nehmet Solmaz è un giornalista del quotidiano turco Daily Sabah.

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