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Verso una riforma radicale dell’Islam?

Di Magdi Abdelhadi. Your Middle East (04/10/2014). Traduzione e sintesi di Roberta Papaleo.

A cominciare dal solito discorso della cospirazione, che vede trame straniere in tutto ciò che riguarda le società arabe, un sempre maggiore numero di voci sta scaricando la colpa per la proliferazione di gruppi come Daish (conosciuto in Occidente come ISIS) esattamente sulla cultura arabo-islamica.

La prima cosa ad essere attaccata, dopo che il leader di Daish si è auto-proclamato califfo, è stata la sacra nozione per cui il califfato richiama una sorta di tempo d’oro, un’utopia perduta, che i musulmani dovrebbero cercare di far rivivere.

Uno scrittore dopo l’altro ha concluso che Daish, lungi dall’essere un’aberrazione, è di fatto un esempio di brutalità nel nome dell’Islam. I critici dicono che invece di dare la colpa alle potenze straniere per i suoi mali, è tempo che la tradizione islamica venga riesaminata e liberi la sua letteratura da testi che glorificano la prodezza e la supremazia militare in nome dell’Islam.

Uno studioso saudita, Ibrahim al-Belahi, ha criticato la cultura islamica per la sua ossessione per il mito di un passato glorioso e per la sua inettitudine nel pensare al futuro come qualcosa di completamente diverso. Al-Belahi ha inoltre dichiarato che per gli arabi l’etica si riferisce solo alla moralità sessuale e non si rendono conto che la cultura occidentale ha degli standard etici molto più elevati anche in tutti gli altri aspetti della vita rispetto alle società arabe – alquanto strano che un saudita dica certe cose in pubblico in un Paese ultraconservatore del Golfo.

Diversi altri critici hanno preso di mira la tradizione del hadith (i detti attribuiti al profeta Muhammad) nei quali il profeta stesso avrebbe minacciato i suoi nemici dicendo che “era venuto per massacrarli” – frase citata in uno dei recenti video di propaganda diffusi da Daish. Un presentatore televisivo egiziano di spicco ha lanciato un feroce  attacco contro questa tradizione, iniziata molto tempo dopo la morte del profeta e che oggi viene ancora usata per conferire legittimità religiosa a ogni pratica, dalla mutilazione genitale femminile all’uccisione degli apostati. L’autenticità di questa tradizione è soggetto di molte controversie, non di meno in quanto è stata elevata al livello dello stesso Corano. Come risultato, il presentatore è ora indagato per blasfemia.

Ciò ha aggiunto maggiore furia alla crescente rabbia contro l’istituzione ufficiale dell’Islam, accusata di essere l’incubatrice di quelle stesse idee che hanno portato all’emergere di ideologie islamiste.

Mentre critici tradizionalmente laici hanno sparato a salve contro i wahabbiti (sauditi), stavolta,  gli accademici dell’Islam sunnita, cioè l’Università Al-Azhar del Cairo, si sono mossi verso un duro criticismo. A dispetto di essere spesso considerati come bastione della moderazione e baluardo contro l’intolleranza e l’estremismo, scrittori e accademici hanno cercato di sfatare quest’immagine, evidenziando che le visioni estremiste propagate da Daish sono parte dell’educazione religiosa offerta dalle migliaia di scuole e seminari gestiti da Al-Azhar, che inoltre addestra migliaia di imam in Egitto e nel mondo.

Lungi dal vaccinare i giovani contro l’Islam militante, i critici sostengono che il curriculum di Al-Azhar contiene i semi di quell’estremismo che  rovina la maggior parte delle società musulmane di oggi.

Il punto è che le società musulmane dovrebbero smetterla di incolpare gli altri per i loro mali e iniziare a riconoscere la loro complicità.

La morale di questo dibattito è semplice e agghiacciante: le fonti ideologiche dell’estremismo hanno solide radici nell’Islam tradizionale e a meno che questo non venga ampiamente riconosciuto, bombardare a morte Daish, se sarà poi possibile, non farà altro che dare al mondo una tregua prima che un altro clone prenda il controllo in Yemen, in Libia o in Somalia.

Contrariamente al mantra ripetuto dai politici occidentali sul fatto che Daish offre una visione distorta dell’Islam, il dibattito nel mondo arabo punta esattamente nella direzione opposta: Daish, Al-Qaeda e altri gruppi militanti sono costruiti sui testi base della tradizione islamica. Il sermone di Abu Bakr Al-Baghdadi dopo la cattura di Mosul la scorsa estate potrebbe essere stato benissimo fatto in una qualsiasi moschea egiziana, saudita o marocchina.

Solo una riforma profonda del modo in cui viene predicato e insegnato l’Islam potrebbe prosciugare la palude nella quale Daish cresce e fiorisce. Il dibattito nel mondo arabo oggi potrebbe essere l’inizio di un processo che non potrà che essere molto difficile e duraturo.

Magdi Abdelhadi è uno scrittore free-lance ed ex analista sul mondo arabo per la BBC.

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