Tunisia Zoom

Vendita di alcol in Tunisia: circolari che superano la Costituzione

tunisia alcol

Di Rihab Boukhayatia. Al-Huffington Post Maghreb (05/08/2015). Traduzione e sintesi Carlotta Caldonazzo.

Lo scorso 5 luglio un giovane tunisino era stato arrestato dalla polizia per possesso di una lattina di birra. Il tribunale ha disposto per lui una pena di tre mesi di reclusione con la condizionale per “oltraggio pubblico al pudore”. Di sentenze simili, i tribunali ne hanno emesse numerose, alcuni basandosi sugli articoli 226 e 226 bis del codice penale – oltraggio pubblico al pudore e oltraggio alla morale pubblica – altri invece ricorrendo a circolari del 1986 e del 1989 che regolavano la vendita di bevande alcoliche ai tunisini “musulmani” durante il mese di Ramadan, le feste religiose e i venerdì. Circolari mai pubblicate, ma che in udienza hanno un peso maggiore della stessa Costituzione, che sancisce il diritto inalienabile alla libertà di coscienza.

D’altronde, le leggi tunisine in materia si prestano a molteplici interpretazioni. Per citare qualche esempio, l’articolo 317 del codice penale, che prevede una pena detentiva di quindici giorni e una multa per coloro che “servono bevande alcoliche a musulmani o a persone in stato di ubriachezza”, o la legge del 7 novembre 1959 (sulla vendita di bevande), modificata nel 1961 per introdurre sanzioni a chi vende bevande alcoliche ai musulmani. Come si può infatti accertare l’identità religiosa di un individuo? “I cittadini tunisini sono in balia delle interpretazioni soggettive (degli avvocati)”, denuncia l’avvocato Oussama Hlal, incaricato della difesa di un giovane accusato di possesso di alcolici.

Sta di fatto che nei bar, nei negozi e negli alberghi durante il mese di Ramadan, le feste religiose e i venerdì, i commessi domandano spesso ai clienti un permesso per poter acquistare alcolici (ovvero un passaporto straniero o un nome non da musulmani), appellandosi a presunte “leggi da rispettare” o “valori” da difendere, soprattutto in uno “Stato musulmano”. In realtà, in assenza di appigli legali, conta la paura di un’irruzione della polizia, quindi, come accade nei tribunali, anche in locali e alberghi vigono norme piuttosto arbitrarie. In un albergo di Hammamet, ad esempio, per acquistare alcolici bisogna essere turisti o amici del proprietario, a condizione di mantenere il segreto. “Siamo consapevoli dell’ambiguità giuridica e del maggior peso della Costituzione”, lamenta lo stesso proprietario, “ma tutto ciò è oltre le nostre possibilità. Non ci possiamo divertire servendo alcol a tutti quando abbiamo la polizia alle calcagna”.

Secondo lo scrittore ed ex politico Abdelaziz Belkhodja, il grosso cambiamento in Tunisia è avvenuto alla fine degli anni ’60: aumento delle tasse sugli alcolici, divieto di vendita ai musulmani, limitazioni sulla quantità di locali e negozi. “Di fronte alla contraddizione tra Costituzione e corpus legislativo”, spiega, “ma anche in seno allo stesso testo costituzionale, che sancisce la libertà di coscienza e la protezione della religiosità, il prevalere dell’uno o dell’altro principio dipende dalla posizione politica del singolo magistrato”. L’immagine che viene fuori dalle testimonianze di diversi avvocati, è, analogamente, quella di un apparato giudiziario “schizofrenico”, che fatica ad essere indipendente dal potere politico o finanziario, e persino dall’opinione pubblica.

L’unica azione dirimente, dunque, resta un intervento del ministro della Giustizia, che richieda ai giudici di smettere di ricorrere al codice penale in questa materia, garantendo il rispetto della Costituzione. Un gesto, tuttavia, che potrebbe costare un calo di consensi tale da comportare un’immediata sostituzione.

Vai all’originale

Rihab Boukhayatia è un giornalista tunisino.

I punti di vista e le opinioni espressi in questa pubblicazione sono di esclusiva responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente il punto di vista di Arabpress.eu