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Una bomba in mezzo al cuore. Damasco di una volta

Articolo di Giusy Regina

Era il marzo del 2008 la prima volta che ho messo piede a Damasco. Di notte. Le luci confuse di una città sconosciuta ai miei occhi mi rendevano inquieta. Il sole del mattino dopo mi ha schiarito la mente.

Credo che quando si vive per un po’ in una città, più che chiedersi cosa quel posto potrebbe offrire, bisognerebbe riflettere su cosa ci lascerebbe una volta partiti. Se dovessi descrivere Damasco con un solo aggettivo la definirei semplice, anche se sotto tanti punti di vista è tutto fuorché questo.

Il ricordo che la città in cui “non si può entrare due volte, perché non si può entrare due volte in paradiso” mi ha lasciato è davvero un senso di semplicità, semplicità genuina, che ti insegna ad essere felice con poco.

Io vivevo a Bab Touma, il quartiere cristiano al centro della città. Una porta enorme, la porta di Tommaso per l’appunto, ti dà il benvenuto nel quartiere, uno dei più vivi e suggestivi di Damasco. Qui tutti si conoscono, si salutano, sono amici, parenti. E in men che non si dica anche tu diventi un amico, un parente, un conoscente.

Visitare Damasco non è come viverci. Diventi davvero amico del fruttivendolo che alla fine di shari’a Bab Touma vende le zucchine più strane che avessi mai visto, amico di ‘Ali che in un metro quadrato di negozietto vende ogni sorta di bene, dal riso in grossi sacchi alle batterie. E come non conoscere il proprietario del fast food proprio davanti alla Chiesa principale, che attira i giovani siriani tanto più degli stranieri. Entrando sulla sinistra poi trovi ad accoglierti il ragazzo del chiosco che fa i frullati e le spremute di frutta più grandi e gustosi che avessi mai bevuto.

Il primo vicoletto sulla destra, proprio davanti alla Chiesa: è lì che vivevo. È lì che ho conosciuto la famiglia che mi ha accolta in quella che, seppur divisa, sembrava una grande casa comunitaria dove condividere, per forza di cose, gioie ed esperienze. Ed in men che non si dica, mi sono ritrovata a insegnare francese alla piccola Jolla e a sua sorella Samira, a provare i piatti che la mamma cucinava e puntualmente mi portava, a giocare col piccolo Sami nel cortile davanti casa.

E quanti amici nel suq? Ahmed che si addormentava nel suo negozio di stoffe e orecchini, ‘Aziz che aveva sempre un buon affare da proporti, la cara Nouad che preparava un buon tè e il vecchio hakawati che nel caffè del centro raccontava le sue storie animando i piatti pomeriggi di primavera.

Come non pensare a tutti loro quando proprio lì a Bab Touma ieri una bomba è esplosa, provocando morti e feriti? Mi chiedo dove siano, se stanno bene e se sono ancora lì. Mi chiedo cosa ne è stato di quella città che ti avvolgeva come in un lungo abbraccio, dove ognuno si sentiva parte di un piccolo mondo.

E soprattutto mi chiedo quando finirà questo continuo aggiungere dolore su dolore e pianto sul pianto ad una città, e ad un paese, che aveva invece sempre un sorriso in serbo per accoglierti.