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Un grande momento per la Turchia

Di Amir Taheri. Al-Sharq Al-Awsat (28/09/2012). Traduzione e sintesi di Cristina Gulfi

La Turchia si prepara ad un momento tanto emozionante quanto rischioso nella ridefinizione della propria identità, sotto il Primo Ministro Recep Tayyib Erdogan, che potrebbe entrare nella storia come uno dei più grandi leader del suo Paese dalla nascita della repubblica nel 1923. Il suo partito, Giustizia e Sviluppo (AKP), lo adora. Finora meglio di così non potrebbe andare e lui lo sa.

Sotto il suo governo, la Turchia è uscita dal circolo vizioso della povertà e dell’inflazione per iniziare a costruire un’economia moderna. Ma i suoi record politici non sono da meno: ha sviluppato “una società islamica in uno stato laico” e ha dato alla Turchia una nuova voce nel suo spazio geopolitico, specie in Medio Oriente. Dunque, non è una sopresa che Erdogan stia cercando di celebrare i suoi traguardi con due monumenti. Il primo è una moschea a Istanbul, “la più grande del mondo”. Il secondo è una nuova Costituzione, per creare un sistema presidenziale ed essere il primo Presidente della Turchia post-kemalista.

In una visione più ampia, la moschea non conta granché ma non si può dire lo stesso della nuova Costituzione. Molti sono d’accordo che quella attuale, emanata nel 1982 e modificata due volte, andrebbe riscritta. Ma la domanda è: in che modo? Permettere a Erdogan di governare in qualità di Presidente invece che Primo Ministro non è un argomento di riforma convincente.

Tuttavia, la questione principale che Erdogan e i fautori di una nuova Costituzione si trovano ad affrontare riguarda l’identità. La Turchia moderna, quella emersa dalle macerie dell’Impero Ottomano, ha adottato un’identità in linea con lo spirito europeo del 19esimo secolo e si è definita come “nazione” nonostante fosse composta da diversi popoli.

Tra le tante contraddizioni presenti nei vari testi della Costituzione, c’è la definizione dello stato come repubblica e del sistema di governo come democratico. Ma ciò implica un sistema in cui l’enfasi è sulla cittadinanza e il volere del popolo: una democrazia può essere multi-nazionale e una repubblica appartiene ai cittadini, indipendentemente dall’etnia o dalla nazionalità.

Limitare l’identità della Turchia alla sua componente etno-linguistica turca vuol dire negare l’auto-definizione curda ad almeno il 20% dei cittadini. Che piaccia o  no, molti cittadini curdi, per quanto rispettosi della legge, non si sentono parte della nazione turca e non ne condividono le aspirazioni  nazionaliste. Come far fronte a questa situazione? Un primo modo è negarla, come fanno alcuni nazionalisti pan-turchi. Un secondo è la secessione curda, come vuole il PKK. Un terzo, più moderato, è definire la Turchia come una repubblica democratica, in cui tutti i cittadini godono degli stessi diritti (e doveri) a prescindere dalle diverse nazionalità in cui si riconoscono.

Erdogan dovrebbe percorrere quest’ultima strada, evitando di imprigionare la Turchia in una identità nazionale di vecchio stampo o in una ancora più illusoria di umma. Il buon senso suggerisce una costituzione che si rifletta la vera realtà della Turchia in quanto società con diverse etnie, lingue, culture, credenze e non-credenze ma unita dal concetto di cittadinanza in una repubblica democratica.