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“Ultima estate in suol d’amore” di Alma Abate

Dal blog "Con altre parole" di Beatrice Tauro

Il libro di oggi ci porta in Libia, paese attualmente ai tristi onori della cronaca per le drammatiche vicende legate ai flussi migratori. Ma la Libia di cui parla “Ultima estate in suol d’amore” della scomparsa Alma Abate, è quella degli anni ’60 del secolo scorso, prima del colpo di stato che portò Gheddafi alla presa del potere.

La protagonista è Sara, giovane ragazza italiana nata e cresciuta a Tripoli, all’interno di quell’enclave di stranieri che in quegli anni popolava la multietnica città libica, dove risiedevano inglesi, francesi, italiani, americani. In quegli anni le popolazioni straniere, chiuse nelle loro ville e nei loro beach club, non si mescolavano con i locali, spesso ritenuti inferiori. L’insofferenza era comunque reciproca, perché anche agli occhi dei libici la presenza di un “Occidente avido di petrolio quanto sprovvisto di memoria doveva fare l’effetto di un drappo rosso sventolato sotto le narici di un toro infuriato”.

E così la protagonista riflette sulla sua condizione di italiana nata in terra straniera, a metà strada fra le campane e i muezzin, fra le lasagne e il cous cous, un mezzosangue in bilico fra più culture, che interagisce con le nazionalità e le lingue più diverse. L’eccezione rilevante era l’arabo che dai più veniva ignorato in un moto di superiorità, nonostante l’obbligatorietà dell’insegnamento di quella lingua anche nelle scuole internazionali.

Ma la resistenza alla cultura autoctona trova ostacolo nei sentimenti, in quelli della protagonista in particolare che finisce per innamorarsi di Sefrem, un giovane tunisino nel quale riconoscerà l’unico amore della sua vita. Un amore comunque ostacolato dalla sua famiglia e infine anche dal destino che porterà Sefrem ad allontanarsi per sempre da Tripoli. Molto interessante il passaggio in cui il giovane Sefrem declama il suo amore per la Tunisia, la sua fiera appartenenza a quel popolo, rivendicando un appropriato uso della ragione in chiave illuministica che per gli occidentali è appannaggio solo del “civile” Occidente.

Sara però ha una sensibilità diversa nei confronti del paese che le ha dato i natali e che la ospita, nei confronti delle sue tradizioni e perciò si perde nella minuziosa descrizione dei tradizionali preparativi per il matrimonio di Fatma, i festeggiamenti, i decori, gli abiti nuziali, il cibo, in un coinvolgente racconto nel corso del quale sembra poter udire il suono di quelle strida acutissime che solo le donne arabe sono capaci di emettere, con il movimento vorticoso della lingua, incontenibile inno alla gioia.

Nel romanzo non mancano descrizioni accurate della città di Tripoli, con i suoi vicoli bianchi, le sue piazze, i suoi lungomare affacciati sul Mediterraneo, in una continua evocazione di un tempo andato nel quale una apparente tranquillità condiva la quotidianità sia della popolazione locale che degli stranieri.

Una tranquillità che viene interrotta nel giro di cinque ore, quando alla radio viene annunciata la dichiarazione di nascita della Jamahiriya, con la presa del potere da parte del Comitato Rivoluzionario guidato da Mu’ammar Gheddafi.

Un romanzo dal forte sapore autobiografico che cattura per le molteplici sfaccettature in grado di convogliare nel corso della lettura, con il continuo confronto fra il mondo arabo della Libia degli anni sessanta e lo sguardo occidentale di chi in quella terra ci si trovava a vivere, per scelta o per destino.