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Turchia: lo scacchiere di Erdoğan

Erdogan

Di Verda Özer. Hürriyet Daily News (11/04/2015). Traduzione e sintesi di Carlotta Caldonazzo.

La visita del presidente turco Recep Tayyip Erdoğan al nuovo re saudita Salman bin Abdulaziz lo scorso mese ha posto diversi interrogativi, tra cui se un riavvicinamento con Riyadh potesse invischiare la Turchia nelle guerre pseudoconfessionali della regione. Soprattutto in Yemen, visto che Ankara sostiene la “coalizione sunnita” a guida saudita e ultimamente ha mosso aspre critiche nei confronti della politica estera iraniana, con conseguenti reazioni di Teheran. Questi ultimi sviluppi facevano temere una rottura tra Turchia e Iran, a cominciare dall’annullamento della visita ufficiale di Erdoğan a Teheran, in programma per la scorsa settimana. La visita invece c’è stata e durante la cerimonia di benvenuto Erdoğan e il presidente iraniano Hassan Rohani hanno camminato mano nella mano, anticipando i toni della conferenza stampa congiunta.

L’importanza della visita di Erdoğan a Teheran non si limita alle relazioni bilaterali tra i due paesi, perché all’ordine del giorno c’erano questioni cruciali per la politica regionale come la Siria, l’Iraq e lo Yemen. Proprio su queste tematiche, per la prima volta dall’ascesa al potere del partito Giustizia e Sviluppo (AKP, attualmente al governo), Ankara ha dichiarato esplicitamente la propria posizione contraria a qualsiasi scontro confessionale e la propria equidistanza rispetto alle parti in causa dei conflitti in corso. L’obiettivo è dunque avere relazioni di buon vicinato sia con l’Iran che con le monarchie del Golfo, lasciando da parte le sue riserve in merito allo sciismo da un lato e al wahhabismo dall’altro. Un atteggiamento che lascia intendere che il sostegno alla coalizione che bombarda lo Yemen non implica una rottura con Teheran, poiché l’unico scopo è mantenere l’equilibrio di forze in Medio Oriente.

In quest’ottica, Erdoğan ha delineato una vera e propria roadmap, la cui attuazione era iniziata con i colloqui con il suo omologo pakistano, passando per le visite a Riyadh e Teheran, per poi proseguire il tour in Indonesia e Malesia, per finire con una nuova visita in Arabia Saudita. “Dopo questo giro”, ha spiegato, “ci auspichiamo che le nostre valutazioni conducano a una posizione definitiva”. Un simile modus operandi riflette il peso della Turchia nelle questioni geopolitiche regionali, così determinante che il primo ministro pakistano Nawaz Sharif recentemente ha dichiarato che avrebbe atteso l’esito delle visite di Erdoğan a Teheran e Riyadh per decidere se unirsi o meno alla coalizione sunnita che bombarda lo Yemen.

Dalla partita a scacchi lanciata da Ankara emerge l’immagine di un Medio Oriente parzialmente riconfigurato dalle rivolte che hanno interessato il mondo arabo rovesciando alcuni dei vecchi regimi. In tale contesto, mentre l’Arabia Saudita accorda incondizionatamente il suo sostegno alle sopravvivenze dei vecchi ordinamenti (come Beji Caïd Essebsi, un tempo braccio destro dell’ex presidente tunisino Habib Bourguiba, il generale egiziano Abdelfattah Al Sissi o il generale libico Khalifa Haftar), l’atteggiamento della Turchia, con il pragmatismo che la contraddistingue sin dall’era ottomana, finora si è dimostrato più flessibile e attento ai nuovi equilibri emergenti. Mantenendo buoni rapporti con i vicini, Ankara spera dunque di poter regolare indisturbata i propri conflitti interni, in particolare quello con il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), nonostante le ripetute violazioni del cessate il fuoco.

Verda Özer è editorialista del quotidiano turco Hürriyet Daily News

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