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Turchia: la question del PKK e l’oro nero di Qandil

PKK

Middle East Online (02/03/2015). Traduzione e sintesi Carlotta Caldonazzo.

Abdullah
Abdullah Öcalan

Poco dopo lo storico appello al disarmo e al dialogo della guida del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) Abdullah Öcalan, il 2 marzo il ministro dell’Energia turco Tener Yildiz ha annunciato la stipula di contratti con il governo di Baghdad e le autorità della regione autonoma del Kurdistan iracheno (KRG) per la caccia al petrolio tra le montagne del Qandil, roccaforte del PKK. Intanto, il partito di governo Giustizia e Sviluppo (AKP) ha raggiunto un accordo con l’opposizione filo-curda del Partito Democratico del Popolo (HDP) su un progetto di riforme costituzionali per risolvere la questione curda, dopo un conflitto trentennale costato oltre 40.000 vite.

L’appello di Öcalan dal carcere di massima sicurezza di Imralı, dove è rinchiuso dal 1999, sembra dissipare i timori suscitati dalle dimissioni del capo dell’intelligence turca (Mit) Hakan Fidan. Finora infatti Ankara aveva condotto i colloqui di pace con Öcalan proprio attraverso il Mit e Fidan, con la mediazione dell’HDP. Tuttavia il rischio che il processo di pace con il PKK entri in una fase di stallo proviene anche dal controverso pacchetto di leggi che il parlamento turco si appresta ad approvare (malgrado il parere contrario delle opposizioni) e che consente l’uso della forza per arginare le proteste, equipara le bottiglie incendiarie alle armi vere e proprie e allunga i tempi del fermo. Secondo il primo ministro turco Ahmet Davutoğlu il parlamento lo approverà “in ogni caso” per “proteggere libertà e sicurezza” e “spianare la via al processo di pace”. Alle accuse di rendere ufficialmente la Turchia uno stato di polizia ha risposto anche il presidente Recep Tayyip Erdoğan, che ha definito queste leggi in linea con gli standard europei.

La soluzione della questione tuttavia non può prescindere dalla sua dimensione istituzionale. Perciò sabato scorso una delegazione del governo ha raggiunto un accordo con l’HDP sul piano basato sui 10 punti originariamente elaborati da Öcalan, che prevedono una riforma costituzionale di stampo democratico e lo sviluppo socio-economico, tenendo conto di temi delicati come la parità tra i generi e il rispetto dell’ambiente. Un processo che va ben oltre la questione curda, al punto che l’HDP mantiene i suoi dubbi sia sulla cattiva interpretazione del concetto di disarmo che sulle reali intenzioni dell’AKP di intraprendere la via della democratizzazione.

Il rischio è che Ankara accetti i 10 articoli e acceleri il processo di pace per portare avanti indisturbata le ricerche di petrolio nel Qandil, dove militanti ed esponenti di spicco del PKK si sono ritirati in massa nel 2013. “Possediamo alcuni blocchi sulle pendici delle montagne del Qandil”, ha detto Yildiz, “in base ai contratti che abbiamo firmato con Baghdad e l’Iraq del Nord” (il KRG). La possibilità della Turchia di rendersi indipendente dal petrolio russo e iraniano dipendono pertanto dal buon esito del processo di pace con il PKK, poiché con le autorità del Kurdistan iracheno sono stati instaurati solidi legami già negli ultimi anni. I contratti con Baghdad inoltre alleviano le tensioni emerse lo scorso anno, quando il governo centrale iracheno aveva denunciato Ankara per aver fatto passare per il proprio territorio il petrolio di Erbil destinato ai mercati internazionali.

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