Turchia Zoom

Turchia, G20: la “lotta al terrorismo” manca di strategia

Turchia G20

L’opinione di Al-Quds. Al-Quds al-Arabi (16/11/2015). Traduzione e sintesi di Claudia Negrini.

I leader del G20, il summit conclusosi nei giorni scorsi in Turchia, hanno promesso di “rafforzare il controllo delle frontiere, di intensificare lo scambio di informazioni di intelligence e le restrizioni sul finanziamento dei terroristi, ma non fanno riferimento a nessun gran cambiamento nella lotta a Daesh (ISIS) in Siria” secondo quanto affermato da un rapporto di Reuters.

Da parte sua il presidente americano Barack Obama ha assicurato, a margine del summit, che “non ci saranno cambiamenti nella strategia americana per combattere Daesh a causa di altri attacchi” (senza specificare la natura di questa strategia, né la sua reale esistenza).

D’altro canto il presidente russo, Vladimir Putin ha affermato che “i finanziamenti di Daesh provengono da fonti sparse in quaranta paesi diversi, tra cui numerosi membri del G20”. Ha aggiunto che questi paesi “devono aumentare i loro sforzi per impedire questi finanziamenti e quindi fermare la vendita di petrolio e altri tipi di risorse da parte di Daesh”.

Daesh stesso, il grande assente del summit, ha chiaramente adottato una nuova strategia e ha portato la lotta in nuove arene, dopo le recenti sconfitte in Siria e Iraq. Solo nelle ultime due settimane, l’organizzazione ha rivendicato la responsabilità di tre importanti operazioni terroristiche in tre continenti, che in totale hanno causato circa quattrocento morti e cinquecento feriti.

Era chiaro, dai discorsi che avevano rilasciato, che hanno lanciato una battaglia punitiva in reazione alle severe sconfitte e agli attacchi subiti recentemente via terra e via aerea, che li hanno spinti a minacciare l’“occupazione del Cremlino”.

Senza dubbio gli attacchi di Parigi hanno dimostrato che Daesh può sfruttare importanti capacità dell’intelligence per penetrare nel sistema di sicurezza francese, presumendo che abbia imparato la lezione dopo gli attacchi terroristici alla rivista Charlie Hebdo del 7 gennaio scorso.

I servizi segreti americani non hanno rivelato nessun “segreto di sicurezza” rilasciando un avvertimento sulla possibilità che Daesh colpisca angoli diversi del mondo. Ma ciò non contraddice le dichiarazioni della settimana scorsa del presidente americano e del suo segretario di stato che assicuravano che Daesh “sia stato contenuto” e che “i suoi giorni sono contati”?

Siamo di fronte ad una situazione che è una combinazione avvelenata dalla sconfitta, dalla confusione e da cospirazioni internazionali che permettono a Daesh di continuare ad acquisire spazio di manovra e di decidere il tempo e il luogo più adatto per muoversi, mentre la maggior parte degli oratori si accontenta di slogan come “Lotta al terrorismo”, di azioni temporanee o inefficaci. Non è possibile che la direzione americana sia seria quando afferma che il più forte apparato d’intelligence internazionale riuscirà a prendere le redini delle iniziative e anticipare operazioni terroristiche, per non parlare del controllo di attacchi militari mirati che paralizzerebbero Daesh a breve.

È possibile vedere chiaramente questo fallimento e questo complotto esaminando gli attacchi aerei americani degli ultimi quindici mesi, durante i quali sono stati effettuati 60 mila voli di cui solo 6 mila hanno bombardato obbiettivi legati a Daesh, quando nel 2003 sono stati sufficienti venti giorni per invadere l’Iraq intero (fatto che più tardi ha generato questo e altri gruppi terroristici).

Nonostante l’allargamento dell’adesione di altri paesi alla campagna aerea, e riconoscendo alcuni importanti risultati sul campo di recente, l’escalation di operazioni terroristiche e il loro ampliamento mostrano chiaramente che la comunità internazionale manca di una strategia generale per vincere la guerra contro il terrorismo, diffuso come un cancro in molte parti del mondo, e non riesce a concentrarsi su un solo fronte, una sola battaglia e un solo nemico.

Senza dubbio questa strategia non più essere solo militare o di sicurezza, ma deve essere anche culturale, ideologica, politica, economica e sociale. Questa diminuzione di importanza non significa una frattura tra l’intelligence e le operazioni militari nella guerra al terrorismo, ma è necessario che si provi a intraprendere un lavoro effettivo via terra privo di discorsi vuoti.

Fino a quando si lavorerà per la costruzione di una strategia reale in accordo totale per combattere il terrorismo, e non per “la sua riduzione”, “il suo isolamento” o “il suo investimento”, indipendente da qualsiasi fenomeno o crisi politica, sarà difficile vedere la luce infondo al tunnel.

Vai all’originale

I punti di vista e le opinioni espressi in questa pubblicazione sono di esclusiva responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente il punto di vista di Arabpress.eu