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Tunisia, la rabbia dei giovani tra libertà e disoccupazione

Bizerte_Tunisia ©Alice Passamonti
Bizerte_Tunisia ©Alice Passamonti
Cronache da una Tunisia in fermento

Le manifestazioni nel Paese, le cause del malcontento e le risposte del Governo di unità nazionale

Aumento dei prezzi di generi alimentari, comunicazioni e benzina, aumento delle tasse e dell’iva, disoccupazione giovanile, povertà, ma anche marginalità sociale, frustrazione e mancanza di opportunità, soprattutto nelle periferie e nel Sud del Paese. Così, a sette anni da quel gennaio del 2011 che ha portato alla caduta del regime di Zine El-Abidine Ben Alì e all’avvio di una lenta transizione democratica, la Tunisia si è ritrovata ad essere teatro di manifestazioni e proteste violente contro la nuova Legge finanziaria 2018.

Un nuovo gennaio di proteste

Tanti giovani sono scesi in piazza pacificamente, al grido di “Fech Nestannaou?” (in arabo tunisino, “Che cosa aspettiamo?”), dal nome della campagna lanciata dall’omonimo movimento, composto da giovani studenti e disoccupati. Un nuovo incubatore di malcontento, nato a gennaio di quest’anno e sostenuto dal partito di opposizione, Front Populaire, che pure ha votato la Legge Finanziaria 2018 in sede parlamentare lo scorso dicembre. Altrettanti giovani, al contrario, sono stati protagonisti di atti di vandalismo, saccheggi, rapine e scontri con le forze dell’ordine durante la notte, con cassonetti e macchine della polizia dati alle fiamme. Atti di violenza, condannati dalle istituzioni, che hanno mascherato almeno in un primo momento le vere ragioni socio economiche delle manifestazioni.

Cittadini sventolano una bandiera della Tunisia_Avenue Bourgouiba3_Tunis
Cittadini sventolano una bandiera della Tunisia Avenue Bourgouiba Tunis 14/01/2018 ©Alice Passamonti

Ad oggi, il bilancio è di oltre 800 arresti alcuni dei quali arbitrari (l’80% degli arresti coinvolge persone al di sotto dei 30 anni), 6.700 copertoni sequestrati, 97 agenti feriti e una vittima, Khomsi el-Yerfeni, un uomo deceduto a Tebourba, nel governatorato di Manouba, a circa 35 km da Tunisi, in circostanze ancora da chiarire. Secondo alcuni testimoni, è stato colpito da un veicolo di sicurezza. Per il Ministero dell’Interno, invece, si tratta di un decesso causato da un attacco d’asma, in seguito all’uso di lacrimogeni. Proprio in questa località sono scoppiate le prime proteste notturne, poi divampate in diverse zone del Paese da nord a sud: Kasserine, Gafsa, Siliana, Thala, Sidi Bouzid, Kebili, Jendouba, Gabés, Douz, Kairouane e Mahdia, dove il tribunale ha già emesso le prime sentenze di condanna per i giovani fermati. Non sono stati risparmiati nemmeno i quartieri popolari di Tunisi, tra cui Ibn Sina, El Mourouj, Hay Ettadhamen e Le Kram.

Famiglie dei martiri della Rivoluzione_Bourgouiba_Tunis_14012018 ©Alice Passamonti
Famiglie dei martiri della Rivoluzione_Bourgouiba_Tunis_14/01/2018 ©Alice Passamonti

Dopo giorni di tensione, il portavoce del Ministero dell’Interno del Governo di unità nazionale, Khalifa Chibani, aveva descritto una situazione sotto controllo, con disordini progressivamente in calo su tutto il territorio nazionale. E per attenuare le proteste, il 13 gennaio il Governo aveva proposto un pacchetto di misure per le famiglie in difficoltà. Lo scorso 14 gennaio, nel giorno delle celebrazioni per l’anniversario della Rivoluzione, mentre il premier, Youssef Chahed, incontrava a Denden i giovani tunisini disoccupati e il presidente della Repubblica, Beji Caid Essebsi, visitava il sobborgo di Tunisi, Ettadhamen, migliaia di cittadini sfilavano su Avenue Habib Bourguiba nel centro della capitale, in un’atmosfera tra festa e rabbia. Da una parte, tante famiglie con bambini e tanti artisti ad alternarsi sul palco, dall’altra le famiglie dei martiri della Rivoluzione, il partito islamista moderato Ennahda (nel Governo di unità nazionale insieme a Nidaa Tounes), e il Front Populaire.

©Alice Passamonti
Famiglie dei martiri della Rivoluzione che attendono dal 2011 la pubblicazione di un elenco definitivo delle loro vittime Avenue Bourgouiba Tunis 14/01/2018
Madre di un martire della Rivoluzione mostra la foto e il nome del figlio_Avenue Bourgouiba6_Tunis_14012018  ©Alice Passamonti
Madre di un martire della Rivoluzione mostra la foto e il nome del figlio_Avenue Bourgouiba_Tunis_14/01/2018 ©Alice Passamonti

Nel settimo anniversario della Rivoluzione, erano presenti anche gli attivisti di Fech Nestannaou e di un altro movimento, Manich Msamah (dall’arabo tunisino, “Io non perdono”), nato in segno di protesta contro la Legge di riconciliazione nazionale (considerata una “legge di amnistia” per i corrotti dell’epoca di Ben Alì). Contemporaneamente, a pochi passi da Avenue Bourgouiba, nella piazza Mohamed Alì, davanti alla sede dell’Union Générale Tunisienne du Travail (UGTT, il primo sindacato del Paese), altri giovani laureati disoccupati proseguivano un sit-in, tra coperte e materassi appoggiati alle ringhiere, usando come simbolo della loro rivolta silenziosa un fantoccio con il cappio al collo, vestito di 28 diversi diplomi di laurea.

Le politiche di austerity e il malcontento popolare

Al di là delle forme di protesta scelte dai giovani manifestanti, gli eventi degli ultimi giorni impongono una riflessione sulle tensioni sociali nel Paese, frutto di un malcontento inascoltato. Risultato di una crescente disoccupazione e di politiche economiche di austerità che colpiscono le fasce più deboli della popolazione, senza colmare le ineguaglianze e le disparità regionali.

I dati dell’Istituto Nazionale di Statistica tunisino parlano di un Paese giovane (l’età media è di 32 anni) con un debito pubblico che ha raggiunto il 70% del PIL, una crescita del 2,1% nel 2017 e un’inflazione del 6,4% (la più alta degli ultimi anni) con una conseguente perdita del potere d’acquisto per i cittadini. La disoccupazione, invece, ha raggiunto il 15,3%, ma nel caso dei diplomati di scuola superiore arriva a quota 30,6% (ad alzare la media è un’alta disoccupazione giovanile femminile), con percentuali più alte nelle zone povere dell’entroterra.

Nonostante una ripresa del turismo nel corso del 2017 e alcuni generali segni di miglioramento, il Paese continua ad attraversare una fase di instabilità economica e per la tenuta del bilancio è ancora necessario l’intervento del Fondo Monetario Internazionale.

Nel maggio del 2016, il FMI, nell’estendere il suo prestito quadriennale di 2.9 miliardi di euro, aveva richiesto alla Tunisia una ristrutturazione economica, in particolare una riduzione della forza lavoro nel settore pubblico. Il Paese, impegnandosi a mettere mano alla spesa pubblica aveva ottenuto una prima tranche del prestito. In seguito all’approvazione dell’ultima Legge finanziaria 2018, approvata nel dicembre del 2017, è stato raggiunto un altro accordo per l’erogazione di una seconda tranche. Il Governo del primo ministro, Youssef Chahed, in questo caso ha accettato di aumentare le tasse e bloccare la crescita dei salari, congelando anche tutte le assunzioni nel settore pubblico. Una strategia che secondo le previsioni dovrebbe favorire la crescita della Tunisia, ma con nuovi sacrifici per i cittadini e senza garanzie di successo. Da qui, il malcontento diffuso e le proteste contro disoccupazione, povertà e carovita.

Tunisia, giovane democrazia

Dopo la Rivoluzione del 2011, l’approvazione di una Costituzione nel 2014 e l’attuazione di una serie di riforme, in Tunisia i cittadini godono di diritti politici e libertà civili senza precedenti. Il Paese, seppur con tutte le sue contraddizioni interne, è sopravvissuto alla caduta del regime di Ben Alì, presentandosi come unico esperimento democratico di successo nel mondo arabo. Tuttavia, nella lenta transizione dalla dittatura alla democrazia, la classe politica tunisina non è riuscita a colmare le ineguaglianze sociali e le differenze regionali. La corruzione, le sfide economiche e le minacce alla sicurezza rimangono, quindi, ostacoli a una piena democrazia, segno che la libertà d’espressione e il diritto di manifestare non garantiscono il diritto al lavoro o il miglioramento delle condizioni economiche. Così, il Paese si ritrova oggi a fare i conti con migliaia di ragazzi disoccupati, che spesso lavorano a giornata per pochi dinari e che talvolta, in mancanza di prospettive, sono perfino disposti a lasciare la Tunisia imbarcandosi dalle coste di Sfax e Kerkennah verso l’Italia.

La nuova proposta del Governo

Sabato 13 gennaio, per scongiurare nuove proteste, il ministro tunisino degli Affari Sociali, Mohamed Trabelsi, ha annunciato nuove misure a sostegno delle famiglie bisognose. Reddito minimo a favore delle famiglie che aumenterà da 150 dinari (50 euro) a 180 (60 euro) o 210 (70 euro) in base al numero di figli, assistenza medica gratuita per i disoccupati, raddoppio delle sovvenzioni dedicate ai bambini diversamente abili. Un piano da oltre 70 milioni di dinari tunisini (circa 23 milioni di euro) a favore di circa 120 mila persone.

Nourredine Taboubi, segretario generale del sindacato UGTT, durante il suo discorso a Place Mohamed Alì_Tunis_14012018
Nourredine Taboubi, segretario generale del sindacato UGTT, durante il suo discorso a Place Mohamed Alì Tunis 14/01/2018 ©Alice Passamonti

A questo, si aggiungono un fondo di garanzia per i prestiti e agevolazioni per l’acquisto della prima casa. Rached Ghannouchi, leader di Ennahda, ha assicurato che per finanziare il pacchetto di riforme si potrà attingere alle riserve dello Stato, “senza ricorrere a tagli della finanziaria”. L’evolversi della situazione nei governatorati e nelle periferie del Paese ci dirà se queste misure sono sufficienti ad attenuare le tensioni sociali.

Di Alice Passamonti.

 

Alice Passamonti è una giornalista e fotografa italiana esperta di immigrazione e diritti umani.

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