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Le esperienze della rivoluzione tunisina nel suo settimo anniversario

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Abdallah Janouf – professore tunisino – evidenzia nell’articolo che segue tre tratti caratterizzanti la rivoluzione in Tunisia, dimostrando che la stessa ha sì cambiato il sistema ma non l'essere umano e la realtà.

Di Abdallah Janouf. Al-Araby al-Jadeed (15/01/2018). Traduzione e sintesi di Marianna Barberio.

Sono passati sette anni dalla rivolta tunisina, un evento che ha diviso l’opinione pubblica per la definizione, la valutazione e la rappresentazione dei risultati. Di seguito è possibile riferirsi a tre esperienze diverse che hanno caratterizzato questo periodo.

La prima è il fatto che la rivolta tunisina ha senz’altro unito il popolo in un unico obiettivo: estirpare la tirannia attraverso una resistenza collettiva. È fiorito uno spirito di solidarietà dove ogni tunisino era pronto a difendere il suo concittadino. La rivolta è riuscita nell’intento di distruggere il dispotismo e ha permesso di vivere la libertà di pensiero e di espressione, di ottenere lavoro ed essere riconosciuti cittadini dignitosi nella propria patria, come non era successo dai tempi dell’indipendenza. La rivoluzione ha assunto quindi il carattere di seconda indipendenza, completando la prima e garantendo la libertà di fatto e la sovranità reale. Da qui la definizione di “rivoluzione della libertà e della dignità”.

La seconda esperienza è stata di stampo ideologico. Essa ha permesso la formazione di partiti, ha giocato sulla vita di poveri e bisognosi, ha utilizzato termini quale arretratezza, regresso e tirannia a seconda delle circostanze e ha riconosciuto ad ognuno un suo credo politico. I partiti costituzionali e di sinistra si sono accordati sugli slogan di modernità e laicità, strettamente legati fra loro; quelli nazionalisti sono stati impegnati ad intonare slogan di arabismo, Umma (comunità), una sola nazione, a combattere contro l’arretratezza araba e ad affrontare le cospirazioni di divisionismo. Gli intellettuali di questi partiti non hanno esitato a difendere le dittature arabe mettendo in dubbio il fondamento delle rivolte arabe o di alcune di esse, descrivendole talvolta in termini di cospirazione straniera o di “Primavera ebraica”. Gli islamisti hanno sfruttato questa moltitudine e presentato il loro programma composto di una base popolare, una rete globale, una visione intellettuale, un governo politico, una visione sociale, un programma economico e un’amministrazione riflessiva. Hanno partecipato alla politica senza mai dividere da questa la religione, presentandosi in qualità di Islam politico prima e democratico dopo la rivoluzione, nonostante il loro pensiero è rimasto ancorato a vecchie percezioni. Avvocati e giudici hanno anch’essi avuto un ruolo attivo nel rovesciamento del regime. Tuttavia, con la caduta di quest’ultimo, ognuno si è rintanato nel proprio partito e dottrina, favorendo la divisione ideologica e costringendo tutti a partecipare all’istituzione di un’esperienza democratica che promuove gli interessi del parlamento, la costituzione, le elezioni e la partecipazione politica senza però formare un’ideologia, una cultura o un sistema democratico. Sono derivati gruppi settari, orientamenti razziali e associazioni nichiliste. Alcuni hanno gridato contro la democrazia, si è messo in moto il terrorismo ed è stato annientato lo spirito della rivolta.

La terza esperienza è la consapevolezza del popolo della propria condizione. Dopo che sono stati spazzati via i sogni di libertà e dignità, i modelli ideologici, è dilagata la disoccupazione, si è rafforzata la criminalità e si è assistito ad un rincaro dei prezzi. I vecchi volti sono tornati al potere e i governi non hanno risposto alle richieste economiche. Laddove hanno fallito i governi sono stati accusati il popolo e la rivoluzione. I giovani hanno scoperto di essere stati manipolati dalla classe dirigente che li ha domati e imprigionati in uno spazio digitale.

Si evince quindi che la rivoluzione ha sì cambiato il sistema ma non l’essere umano e la realtà; quest’ultima non cambierà a meno che non si consideri la rivoluzione come un evento storico da cui costruire, da cui partire. Fermarsi alle tre esperienze e associarsi ad una di esse qui descritte rischia solo di isolare e deludere. Il desiderio di prosperità, giustizia, libertà e sicurezza non può avvenire senza azione, la democrazia non si raggiunge senza pluralismo, il desiderio di salvezza non si realizza senza resistenza.

Abdallah Janouf è professore presso l’Università della Tunisia, specializzato negli studi islamici.

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