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Tunisia e il prestigio dello Stato: un nuovo slogan?

proteste tunisia

Di Soufiane Ben Farhat. La Presse de Tunisie (16/03/2015). Traduzione e sintesi di Cristina Gulfi.

Terroristi, reti segrete, nuovi ricchi, signori della guerra appartenenti a clan mafiosi. C’è di tutto. Ancora una volta, la politica della Tunisia è ridotta al livello zero. È la sindrome del Leviatano di Thomas Hobbes, cioè dell’uomo lupo per gli altri uomini e della guerra di tutti contro tutti.

Che si tratti degli psicodrammi legati alle peripezie del partito al potere, Nidaa Tounes, o dell’arresto di Moez Ben Gharbia e Wassim Lahrissi (detto Migalo), è la solita storia. Ancora una volta, il potere dà prova del suo inesorabile declino. Gli inetti occupano il primo posto.

Essebsi Nidaa Tounes tunisiaAll’interno di Nidaa Tounes abbondano posizioni e dichiarazioni mediatiche poco ortodosse. Infuria la guerra dei clan. Si scontrano diverse legittimità. È una caccia, una mischia generale attorno alle dignità. Si fa e si disfa, a seconda dei giorni e degli umori. Orfani dell’unica personalità carismatica, il presidente Essebsi, i membri del partito si sbranano a vicenda. Non siamo ancora ai processi melodrammatici, ma tutto fa pensare che ci si arriverà presto.

La base è fuorviata, tra epicentri molli ed instabili. Si sente tradita. I mercanti politici stanno in agguato e affilano i coltelli. Un po’ ovunque ci si improvvisa Beji Caid Essebsi alla vigilia della fondazione del suo partito, il che spiega i progetti per la creazione di nuove formazioni politiche in un Paese in cui ce n’è già una pletora.

In realtà, a ben vedere, Nidaa Tounes soffre della sindrome della sala d’attesa: diverse persone vi si sono incontrate, a seconda del risentimento, della paura e delle angosce suscitate dalla vecchia troika al potere. Si sono riunite e mobilitate alla bell’e meglio, facendo prevalere l’istinto di sopravvivenza e di salvezza. Poi, una volta in salvo, grazie alle elezioni legislative e presidenziali, ognuno ha ripreso la propria strada, la propria destinazione, la propria vocazione. Ed è così che i vecchi vizi, le vecchie inclinazioni sono ricomparse. Da qui meschinità e scontri.

Altrove, personalità oscure si sono fatte largo, tirando le fila del gioco. Le interferenze con i terroristi e i signori della guerra in Libia sono numerose. Traffici d’armi e di merci di ogni tipo tessono la tela delle zone d’ombra. Ricatti e intimidazioni sono all’ordine del giorno. Le reti infiltratesi delle strutture governative costituiscono il tramite di manovre fraudolenti e di altri trucchetti legali. La corruzione infrange i recinti mediatici e associativi.

L’arresto di Moez Ben Gharbia e di Wassin Lahrissi ha portato allo scoperto una brutta faccenda di intercettazioni telefoniche. Chi fa cosa? Per ora ci si attiene al segreto istruttorio, la via maestra del silenzio forzato. Fatto sta che numerosi giornalisti sono sotto controllo, come anche politici e uomini d’affari. Restiamo dunque in attesa di chiarimenti in merito a queste intercettazioni, che, almeno in teoria, sono organizzate in maniera rigorosa e hanno una giustificazione legale.

Il declino su tutti i fronti. La sfera assegnata al Capo dello Stato chiude il Presidente Essebsi in una specie di gabbia dorata. L’opposizione è sfasata, alla ricerca tanto di un progetto e di un argomentario che di un capo. I sindacati sprofondano nel corporativismo. Le reti occulte fanno sì che il prestigio dello Stato, slogan di Essebsi nelle sue campagne elettorali, è diventato vuoto. Il gioco delle istituzioni si riduce ad una specie di ricamo fatto sul nulla, da cui derivano le tentazioni populiste di alcuni. Tra le macerie, i nani a volte sembrano dei giganti.

Soufiane Ben Farhat è un giornalista e scrittore tunisino che si occupa di politica nazionale ed internazionale.

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