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Tunisia e Egitto: anni sprecati

Editoriale di Asharq Al-Awsat. Asharq Al-Awsat (20/01/2014). Traduzione e sintesi di Mariacarmela Minniti.

Gli esperimenti politici in Tunisia ed Egitto hanno dei comuni denominatori: in entrambi i Paesi sono scoppiate rivolte popolari che hanno portato alla caduta dei rispettivi regimi, inaugurando un periodo di ambizioni per il futuro, seppur accompagnate da qualche illusione. Inoltre, l’approvazione delle rispettive costituzioni ha richiesto tre anni, durante i quali i Paesi sono stati protagonisti di numerosi atti di violenza e di poco dialogo. Entrambi hanno perso tre anni dietro l’ambiguità del termine “Stato civile”: una corrente di pensiero ha infatti ritenuto che fosse l’antitesi dello “Stato di sicurezza o militare”, mentre altri si sono persuasi che significasse qualcosa di diverso rispetto allo “Stato religioso”.

Probabilmente chi osserva oggi il governo transitorio tunisino, impegnato nella stesura di una nuova costituzione, e quello egiziano, esultante per l’approvazione a stragrande maggioranza di un’altra costituzione, penserà che i due ancien régime sono stati deposti solo da poche settimane e non anni fa. Inoltre, i problemi che hanno contribuito allo scoppio delle proteste, cioè disoccupazione, povertà, scarsa sicurezza alimentare, si sono aggravati. Sebbene sia difficile fare affidamento su dati attendibili, le statistiche del governo egiziano indicano che il tasso di disoccupazione è salito dal 9% del 2010 al 14% nell’ultimo trimestre del 2013, mentre in Tunisia è probabile che venga superata la soglia del 20%, contro il 13% del periodo precedente.

Negli ultimi tre anni i governi ad interim di entrambi i Paesi hanno tentato di tenere sotto controllo il problema della sicurezza, fra numerosi omicidi, scontri sanguinosi e atti terroristici. Secondo la “Commissione nazionale di inchiesta” sugli abusi e le violazioni commessi durante la rivoluzione tunisina, ci sono stati 383 morti nella rivolta del 2011 la cui responsabilità è ricaduta sul precedente regime, ma il bilancio dei successivi atti di violenza politica potrebbe essere simile. Sebbene in Egitto sia impossibile concordare sul numero definitivo di morti e feriti, soprattutto dopo i violenti scontri tra le forze di sicurezza e i sostenitori dei Fratelli musulmani la scorsa estate, alcuni ritengono probabile che le vittime siano più di seimila.

Questi tre anni rappresentano un gravoso esperimento di transizione politica che, senza dubbio, ha un costo in termini sociali, economici e di sicurezza e gli attuali governi devono trarre insegnamento dalle dolorose lezioni dei loro predecessori. Le esperienze della Tunisia e dell’Egitto sono da considerarsi positive se paragonate con gli sviluppi in Libia, Siria e Iraq, dove la situazione è fuori controllo a causa della frattura a livello nazionale. La società tunisina e quella egiziana hanno preservato il concetto di Stato centrale, in quanto i cittadini non hanno ripiegato sulle identità o le lealtà di gruppo e così questi Paesi non hanno conosciuto la deriva verso quegli sconvolgimenti che avrebbero potuto trasformarli in paludi di lotte internazionali.

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