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Trump presidente: le possibili conseguenze per il mondo arabo

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L’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti potrebbe implicare il concretizzarsi delle preoccupazioni di molti arabi e musulmani

L’opinione di Al-Quds. Al-Quds al-Arabi (11/11/2016). Traduzione e sintesi di Antonia M. Cascone.

L’ascesa di Donald Trump alla posizione di 45° presidente degli Stati Uniti ha sollevato un’ondata di reazioni politiche in tutto il mondo, e le maggiori preoccupazioni si riscontrano soprattutto nel contesto delle più influenti forze del mondo arabo, e tra coloro che sono coinvolti nelle sue questioni. È di notevole importanza che l’elezione di Trump sia stata seguita dall’immediata approvazione del Congresso dei Deputati russo e dalle congratulazioni del presidente Vladimir Putin, che ha dichiarato la piena disponibilità del suo paese a ripristinare le relazioni con l’America, con particolare riferimento allo scontro tra le due parti legato a Siria e Ucraina, fino ad arrivare alla NATO in Europa orientale e alle sanzioni americane ed europee imposte a Mosca.

Ma il messaggio più importante è stato quello del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, nel quale conferma Trump “vero amico di Israele”, con l’invito del nuovo Presidente a fargli visita a Washington, mentre il ministro dell’Istruzione israeliano Naftali Bennett ha asserito che, con il trionfo di Trump, “l’era dello Stato palestinese è finita”. In effetti, se la promessa di Trump di spostare l’ambasciata di Washington a Gerusalemme sarà rispettata, si rivelerà foriera di un’escalation politica contro palestinesi, arabi e musulmani che nessun governo americano ha mai osato attuare. È particolarmente degno di nota che il presidente egiziano Abd al-Fattah al-Sisi sia stato il primo leader arabo a congratularsi con Trump. È chiaro che il messaggio sotteso alle celeri congratulazioni sia legato all’idea di una bizzarra convergenza tra l’agenda del regime egiziano per ciò che è definita “lotta al terrorismo” e le opinioni di Trump circa i musulmani e la loro relazione  col terrorismo stesso.

Sul versante siriano l’elezione di Trump si aggiunge al supplizio dell’opposizione politica e militare e alle pressioni da tutti i fronti, conseguenza delle posizioni dell’amministrazione Obama, che ha frenato il sostegno arabo e turco, ha di fatto autorizzato l’intervento russo e ha chiuso un occhio sull’ingresso dell’Iran – e di milizie sciite libanesi e irachene ad esso facenti capo – nella guerra a sostegno del regime di Bashar al-Assad. Trump è stato più volte esplicito sulla sua volontà di consegnare la Siria a Putin e di collaborare con il regime di Assad.

Uno dei punti più controversi anche della campagna elettorale di Trump è la posizione verso gli Stati del Golfo e le sue dichiarazioni circa il fatto che gli Stati Uniti non proteggeranno più in maniera gratuita questi alleati, che dovranno pagare un prezzo per essere tutelati. L’America, dal rango di superpotenza, è ridotta allo stato di una forza stipendiata, che collabora col mondo sul principio del “pagamento di un prezzo”; probabilmente l’applicazione di questo principio anche agli altri alleati della NATO potrebbe essere di conforto agli arabi, ma, al contempo, li mette in guardia sul modo in cui Trump li considera davvero: deboli che hanno bisogno di qualcuno che li protegga, in debito di un prezzo materiale!

È probabile che il Trump presidente si rivelerà diverso dal Trump candidato a caccia di voti, tuttavia il nuovo presidente è un personaggio fortemente autoritario, al contrario di Obama, e con l’appoggio del Congresso e l’influenza sulla Corte suprema, sarà oltremodo semplice colmare la distanza tra gli slogan e la loro effettiva realizzazione: la concretizzazione di alcune delle peggiori preoccupazioni di arabi e musulmani sarà, purtroppo, possibile.

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