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TH-Q-F, cultura e le sue ferite

Albert Camus
Albert Camus

thaqāfa. “Cultura: l’urlo degli uomini in faccia al loro destino”: ecco la descrizione che ne diede lo scrittore franco-algerino Albert Camus. In epoca classica, la radice araba th-q-f portava con sé davvero molte sfumature, che coinvolgevano “aspetti della mente, della morale e del fisico” – come scrisse Abdul Latif al-Tibawi. Lo studioso dedicò alcune delle sue pagine interamente a questa parola araba: thaqāfa. L’occasione fu la prima Conferenza della Cultura Araba, tenuta in Libano nel settembre del 1947, nell’ambito della quale al-Tibawi si chiese se nella lingua corrente, si stesse facendo ancora lo stesso uso di questo termine, spesso confuso con altri come ta’lim (insegnamento, educazione). Leggendo lo scritto di al-Tibawi, “Il Significato di thaqāfa nell’Arabo Contemporaneo”, ci si rende conto di quanti derivati esistessero un tempo per questa radice, tra cui: intelligenza, vigilanza, incontro, leggerezza, agilità, raddrizzare ciò che non ha una buona piega, e perfino prevalere sul nemico in combattimento. A me piace l’aspetto della leggerezza, il modo in cui si fonde con il farsi valere. Penso a una radice opposta come ẓ-l-m, da cui abbiamo ẓulma “buio, oscurità” e anche il verbo ẓalima “tiranneggiare, opprimere”. Per me in th-q-f c’è qualcosa che riesce a difendere dalle tenebre e dall’oppressione.

Qualche giorno fa lo studioso Tariq Ramadan, alla domanda se quelle arabe “Sono vere rivoluzioni? Si cerca di manipolarle da tutte le parti…” ha risposto: “Ciò che è irreversibile nel mondo arabo è la rivoluzione intellettuale”. Se lo avesse detto in arabo, avrebbe potuto usare proprio thaqāfiy, “culturale”. Ciò che intendeva dire è che, qualunque deriva possa giungere, le persone hanno capito, hanno visto chiaramente e ora hanno questo sentimento: la presa di coscienza persiste, si è depositata nella cultura e continua ad essere attinta. E quando il compositore e pianista siriano Malek Jandali ricorda che “Il territorio siriano è la culla di 10 mila anni di civiltà. L’alfabeto e la prima notazione musicale vennero alla luce a Ugarit”, sta trovando in thaqāfa, nella cultura, la possibilità di riappropriarsi di quei 10 millenni. Anche il poeta siriano Adonis si rivolge spesso a thaqāfa, non di rado con amarezza. Nel suo componimento Concerto per l’11 settembre 2001 a.C., si chiedeva: “Come hanno fatto le mille e una notte a trasformarsi nei mille e un eserciti?”. A lungo l’ha vista stanca, sfiancata da “ferite mortali”, come se non ci fosse più niente da fare. Eppure, nel marzo 2011, dopo esser sceso tra le vie di Beirut con chi manifestava in quei giorni, ha insistito su quello che ha chiamato “Corpo” culturale. Ognuno di noi ha la possibilità di guarirne le ferite, e riportarne in vita anche solo una cellula ciascuno.

Claudia Avolio

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