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La strategia del terrore: Erdogan vince con la carta del pericolo egiziano

Di Semih Idiz. Al-Monitor (01/04/2014). Traduzione e sintesi di Silvia Di Cesare.

La prima cosa da dire sui risultati delle elezioni amministrative del 30 Marzo in Turchia è che il primo ministro Recep Tayyip Erdogan è senza ombra di dubbio il vincitore. Ciò non vuol dire però che il dibattito debba essere chiuso qui.

Ad esempio, ci risulta difficile dire che il partito di Erdogan, Giustizia e Sviluppo (AKP), abbia vinto le elezioni in modo “pulito”.

La Turchia oggi è sotto osservazione da parte delle potenze internazionali per aver eletto un leader le cui tendenze autoritarie hanno iniziato ad erodere le istituzioni democratiche della nazione. Erdogan fa spesso riferimento alla “santità delle urne”, ma la storia ci ha insegnato che i leader eletti dal popolo possono danneggiare seriamente la democrazia e manipolare il consenso pubblico per manomettere i principi che sono alla base di un sistema democratico. Si è quindi giustificati nel chiedersi se Erdogan avrebbe ottenuto gli stessi risultati senza la sua maggioranza parlamentare per proteggere se stesso ed il suo governo contro le accuse di corruzione; o senza mettere il bavaglio alla stampa libera ed indipendente.

La gestione di Erdogan delle accuse di corruzione rivolte al suo governo, ha spinto i suoi nuovi avversari a ricorrere a tutti i mezzi disponibili per informare la popolazione di quanto stesse accadendo, soprattutto attraverso indiscrezioni o intercettazioni fatte trapelare via Internet. La risposta del governo è stata quella di oscurare Twitter e YouTube. Questa strategia non mirava a colpire gli elementi secolari, liberali e europei della popolazione, che in ogni modo non supportano l’attuale primo ministro, ma le masse meno urbanizzate dell’Anatolia e della grandi città turche.

Un altro elemento vincente della strategia di Erdogan è stato quello di trasformare lo “scandalo della corruzione del 17 dicembre”, nel “tentato colpo di stato del 17 dicembre”. Le masse più conservatrici si sono convinte che Erdogan stesse affrontando un cospirazione Occidentale, raffigurazione supportata anche da un continuo rimando e paragone con l’Egitto.

Dopo il colpo di stato del luglio 2013, infatti, Erdogan ha costantemente denigrato coloro che avevano rovesciato il presidente Mohammed Morsi ed il governo della Fratellanza, che molto ha in comune con i conservatori sunniti turchi. Con il continuo riferimento all’Egitto, Erdogan si stava in realtà rivolgendo agli elementi religiosi più conservatori, per metterli in guardia contro le cospirazioni straniere che mirano a rovesciare il loro democraticamente eletto e devoto primo ministro. Tutto ciò per prevenire che quanto accaduto in Egitto possa avvenire anche in Turchia.

Dai risultati delle urne sembra che la strategia sia stata efficace. Una vittoria elettorale per Erdogan, ma non per forza per la democrazia.

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