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Stefano Saletti ci racconta il Mediterraneo e il mondo arabo nel suo percorso musicale

Salve a tutti!

Oggi abbiamo con noi, in questo nostro salotto virtuale, un artista che ha molto da dirci in merito alla musica nel mondo arabo e mediterraneo, alle tradizioni e alle identità che rappresentano questa ricca e variegata parte del mondo. Lo ringrazio di cuore per aver voluto, nonostante i numerosi concerti e viaggi di questo periodo estivo, dedicare del tempo a noi, rispondendo alle mie domande senza risparmiare le parole.

Stefano Saletti e tutta la sua esperienza, è qui con noi, nell’intervista che gli ho fatto e che vi propongo in questo articolo. Anticipo che il 2 agosto Stefano di esibirà alla Cavea dell’Auditorium di Roma per la Notte del Caffè, una grande serata mediterranea con Piccola Banda Ikona, Nando Citarella e i Tamburi del Vesuvio, Pejman Tadayon Sufi Ensemble e Caffè Loti. Inoltre, per chi si troverà in Abruzzo, il 7 agosto, Stefano si esibirà in concerto nella splendida cittadina di Atri (Te).

C.: Stefano, tra le tante musiche possibili, al mondo, perché hai scelto quelle del Mediterraneo? Parlaci del tuo percorso musicale e delle tappe fondamentali della tua carriera.

S.: Perché la nostra anima è mediterranea. Come dice Camus: “Il Mediterraneo non è classico o ordinato, è diffuso e turbolento, come i quartieri arabi o i porti di Genova e di Tunisi. Questo gusto trionfante della vita, questo senso dell’opprimente e della noia, le piazze deserte a mezzogiorno in Spagna, la siesta, ecco il vero Mediterraneo”. Mi emoziona ascoltare un canto greco, un ritmo egiziano, una buleria spagnola. Siamo sommersi da paccottiglia americana, tutti ad imitare la maniera di cantare dei rapper o delle vocalist d’oltreoceano e pochi sanno chi era Rosa Balistreri, Amalia Rodrigues o Oum Kalthoum. Sia chiaro, anche a me piace il rock inglese o il jazz newyorkese, ma lo metto in un insieme di ascolti e di musiche fondamentali per la formazione di un individuo. Oggi invece c’è solo molta omologazione. Quindi, nel mio percorso, ho sempre cercato di coniugare curiosità, passione e ricerca. Così è stato con i Novalia, con i quali ho lavorato per 20 anni sulle musiche e i dialetti del Centro Italia, e poi con la Piccola Banda Ikona, con la quale ho allargato il discorso all’intero Mediterraneo, utilizzando strumenti di vari Paesi e cantando in sabir, l’antica lingua che si parlava nei porti. Con la Banda Ikona in 10 anni abbiamo fatto tre cd e l’ultimo, “Folkpolitik”, dedicato ai canti di libertà del Mediterraneo, è arrivano ai vertici della classifica mondiale della world music. Una gran soddisfazione. Dal 2008 al 2012 ho anche diretto due orchestre internazionali con musicisti da Marocco, Spagna, Israele, Sudan, Portogallo, Croazia. Una bella esperienza nella quale ho cercato di far emergere la ricchezza dell’enorme patrimonio musicale e culturale che appartiene ai popoli mediterranei.

C.: Tu collabori con musicisti come Raffaello Simeoni, Barbara Eramo, Gabriele Coen, Jamal Ouassini, ed altri ancora. Come sono avvenuti questi incontri? Vi siete scelti… o è stato il caso che ha scelto per voi, determinando il vostro cammino insieme?

S.: Non c’è una regola. Tutto è molto legato al caso, ma se una cosa funziona va avanti nel tempo, altrimenti finisce subito. Con Raffaello abbiamo condiviso venti anni di Novalia; poi, per un lungo periodo, ci siamo separati. A dicembre abbiamo fatto una reunion del gruppo e il 7 agosto saremo ad Atri, in Abruzzo, al festival “Etnorock” in una serata speciale. Chissà che non riprenderemo a lavorare insieme. Con Barbara Eramo è nato un grande sodalizio artistico che va avanti da 10 anni. Abbiamo fatto anche un’etichetta insieme, la Cat ‘n Mouse Factory, con la quale produciamo i nostri lavori sia come Banda Ikona che con il suo nuovo lavoro solista, dedicato a Emily Dickinson: potremmo dire Mediterraneo e oltre… Con Gabriele Coen, Mario Rivera, Carlo Cossu e Leo Cesari c’è una grande amicizia e stima e tutti questi anni insieme, nella Banda Ikona, sono stati davvero importanti per me. Con Jamal Ouassini dividiamo il palco in tante occasioni e lo stesso avviene con altri musicisti con i quali sto lavorando, a cominciare da Nando Citarella.

C.: Veniamo alla tua musica. Ci sono diversi approcci possibili per avvicinarsi alle tradizioni mediterranee, da quello strettamente filologico – per quel che è possibile – al rifacimento completo di quei brani secondo arrangiamenti moderni e personalizzati. Quale repertori affronti e che veste sonora hai scelto di dare ai brani che proponi? In breve, come definisci il tuo stile, in riferimento alla vocalità, agli strumenti usati, al sound, ai ritmi, agli arrangiamenti?

S.: Rispetto e apprezzo grandi musicisti che fanno una riproposizione filologica del passato, penso ad esempio a Jordi Savall e ai suoi meravigliosi lavori sulla musica sefardita o armena, ma a me è sempre piaciuto rileggere e interpretare la musica con la mia sensibilità, sia negli arrangiamenti sia nelle scelte produttive. Mi piace inserire nuovi temi, modificare le strutture, rispettare il passato ma trasformarlo. Avviene sia nei brani tradizionali sia nelle mie composizioni. Se ascolti “Folkpolitik” o “Marea cu sarea” senti come questo processo di scomposizione e ricomposizione è ben evidente, anche in brani fortemente caratterizzati, come la sarda “Procurade ‘e moderare” o l’inno palestinese “Wein a Ramallah”, che ho arrangiato non per oud e darbouka ma per piano e cello. È un procedimento rischioso e difficile, ma è più vicino al mio modo di pensare la musica come un continuo divenire. Spesso invece la musica viene imbalsamata, portata nelle sale da concerto perde la sua forza popolare e s’ingessa. Specialmente la musica antica va suonata ridandole lo spirito con la quale è nata, pensa ai canti del Llibre Vermell de Montserrat, che venivano suonati nei pellegrinaggi e fuori delle chiese da gente stanca, sporca, ma meravigliosamente felice. Che senso ha riproporli con quella ritualità borghese e impettita che caratterizza le esecuzioni?

C.: Da grande conoscitore delle musiche mediterranee quale sei, che legami cogli tra le diverse tradizioni delle terre che si affacciano sul Mare Nostrum? Che cosa le unisce, cioè, e che cosa le differenzia?

S.: Le unisce il senso del dramma, della disperazione, del lamento. È un tema che attraversa tutti i popoli mediterranei, dai miroloi greci, al lamentu siciliano, al canto jondo del flamenco al fado portoghese. Le unisce la scala araba hijaz (conosciuta anche come scala di seconda aumentata o frigia alterata) che troviamo nei Balcani nella musica sevdalinka, in Grecia, in Turchia, in tutto il Maghreb e mondo arabo, nella musica ebraica sefardita, ma anche nel flamenco e nella musica napoletana. La unisce il sabir, la lingua franca che marinai, pirati, pescatori, commercianti, armatori, parlavano nei porti per riuscire a capirsi fra loro, da Genova a Tangeri, da Salonicco a Istanbul, da Marsiglia ad Algeri, da Valencia a Palermo. Era una sorta di esperanto marinaro che per sei secoli si è parlato usando parole dallo spagnolo, dall’italiano, dal francese, dall’arabo. E, come raccontiamo in “Folkpolitik”, unisce il Mediterraneo la ricerca della libertà; basti pensare a quello che è successo con le Primavere arabe o con i movimenti a Istanbul, che hanno generato speranze spesso andate deluse, ma che rappresentano un primo grande passo verso una conquista reale delle persone. Quello che divide sono ancora i pregiudizi, le paure, l’ignoranza, le differenze economiche e sociali abissali tra nord e sud, i respingimenti, gli integralismi. Di cammino da fare ce n’è molto, ma la musica in questo può davvero fare molto: almeno serve a far capire quanto c’è dell’altro in ognuno di noi.

C.: Concordo. Che strumenti ti piace usare nei tuoi concerti? Quale ruolo hanno ancora gli strumenti tradizionali, ad esempio quali, e quale la strumentazione elettronica?

S.: Adoro l’oud arabo e il bouzouki greco. Sono i fedeli compagni di viaggio dei mie ultimi venti anni. Cerco di approfondire il più possibile la conoscenza delle tecniche tradizionali, dei ritmi e delle scale. Ho studiato con musicisti dei vari paesi e giorno dopo giorno mi accorgo che c’è sempre qualcosa di nuovo da imparare. Ma mi piace anche reinventare il suono, come ho fatto su “Oriental Night Fever”, il disco realizzato con Hector Zazou e Barbara Eramo, una rilettura in chiave world dei successi della Disco anni ’70. Una follia che solo la mente geniale di Zazou poteva concepire. Mi piace lavorare anche con l’elettronica se serve al progetto, con i loop e gli effetti. Da dieci anni ho uno studio di registrazione e sperimento suoni e tecniche di registrazione. Su “Emily”, il nuovo cd di Barbara Eramo, sono tornato a suonare la chitarra elettrica… È stato un tuffo nel passato ma è stato importante, per un attimo, ritrovare vecchi linguaggi sonori, sperimentare con feedback ed effetti vari com’era al tempo dei nostri lavori con la “Materiali sonori”.

C.: Ci vuoi presentare i gruppi musicali che hanno caratterizzato il tuo percorso artistico, e che hai fondato o diretto tu stesso?

S.: Come ti dicevo sono principalmente due: Novalia, dal 1985 al 2005, e Piccola Banda Ikona, dal 2005 ad oggi. Ho realizzato 7 dischi con il gruppo reatino e tre con la Banda. Il nostro percorso musicale con Ikona è caratterizzato dall’incontro dei suoni e dei linguaggi della tradizione popolare del centro-sud italiano con melodie balcaniche, greche, arabe, sefardite. Abbiamo suonato in giro per l’Italia e per il mondo. L’anno scorso siamo andati in tour in Canada ed è stata un’esperienza meravigliosa. C’era un entusiasmo e una passione per la musica popolare, per il folk, per il Mediterraneo che ci ha letteralmente commossi. Pensavamo che il nostro linguaggio musicale potesse risultare difficile da capire, invece c’è stata una risposta entusiastica. Poi ho diretto la 7 Sois Orkestra, dal 2008 al 2012, e Les Voix du 7 Sois, dal 2010 al 2013. Quest’anno con Nando Citarella e Pejman Tadayon, abbiamo fondato il Cafè Loti Trio, che intende far incontrare il Mediterraneo con l’Oriente, e in autunno pubblicheremo un cd al quale stiamo lavorando.

C.: Grazie mille Stefano, grazie ancora per il tempo prezioso che ci hai generosamente dedicato e per riflessioni, la competenza e l’esperienza che abbiamo letto nelle tue parole. A presto e buon lavoro!

 

Cinzia Merletti

 

About the author

Cinzia Merletti

Cinzia Merletti è musicista, didatta, saggista. Diplomata in pianoforte, laureata in DAMS, specializzata in Didattica e con un Master in Formazione musicale e dimensioni del contemporaneo. Ha scritto e pubblicato saggi sulla musica nella cultura arabo-islamica e mediterranea, anche con CD allegato, e sulla modalità. Saggi e articoli sono presenti anche su Musicheria.net. Ha all'attivo importanti collaborazioni con musicisti prestigiosi, Associazioni culturali e ONG, enti nazionali e comunali, Conservatorio di Santa Cecilia, per la realizzazione di eventi artistici, progetti formativi ed interculturali tuttora in corso.

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