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Siria: si impone la teoria della “realtà complessa”

Elaph (12/07/2012). Traduzione di Cristina Gulfi

Le forze liberali e conservatrici statunitensi sono sempre più a favore di un intervento militare in Siria, sia per opporsi alla strage di civili sia per indebolire il più forte alleato arabo dell’Iran. C’è dunque una notevole sinergia tra gli obiettivi umanitari e quelli strategici degli USA ma, come sottolinea la rivista Foreign Policy, non sempre le buone intenzioni determinano una buona politica.

Per quanto nobili siano i fini americani, nel caso di un ricorso alla forza bisogna tener conto anche dei rischi. Aggiunge la rivista: “Forse, la singolare lezione degli ultimi dieci anni di politica estera è che le conseguenze involontarie di un’azione militare ben intenzionata possono essere significative e superare i risultati di scelte politiche nobili”.

Tre sono i problemi fondamentali delle proposte di intervento militare in Siria:

1) Il progetto più importante garantirebbe l’addestramento e il rifornimento di armi ai ribelli e il ricorso alle forze aeree per creare delle “zone sicure” a nord e ad est. In questo modo non si risolverebbe la crisi umanitaria né si minerebbe il regime di Assad, ma si indicherà solo l’impegno politico nella risoluzione militare del conflitto.

2) L’intervento militare potrebbe servire a rovesciare Assad ma non favorirà un governo stabile in Siria, in una fase dominata dalle divisioni tra i vari attori regionali e tra gli stessi ribelli.

3) Un dibattito pubblico serio sulla guerra non può non considerare le conseguenze involontarie. Ci sono due timori fondati riguardo la Siria: il primo è che si facciano largo jihadisti legati ad al-Qaeda; il secondo è che armi chimiche entrino nelle mani di Hezbollah o altri gruppi.

Secondo Foreign Policy, bisogna attuare una politica di contenimento flessibile, che consiste nel raggiungimento di cinque obiettivi da parte degli USA: deporre Bashar al-Assad, contenere il crescente conflitto settario, ridurre la proliferazione di armi chimiche e biologiche, limitare la diffusione di gruppi jihadisti legati ad al-Qaeda e attenuare la crisi umanitaria. Le sanzioni diplomatiche ed economiche hanno scarsa possibilità di successo in Siria, almeno a breve termine, ma non basta che l’opzione militare sia “l’ultima  risorsa” per renderla accettabile.