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Sinai: l’esercito egiziano contro il terrorismo

Sinai

Al-Monitor (11/02/2015). Traduzione e sintesi di Angela Ilaria Antoniello.

Egitto Sinai inDato il numero crescente di attacchi terroristici, la domanda che i principali attori si pongono è perché l’esercito egiziano non riesce ad affrontare il terrorismo nel Sinai. A questa domanda, che arriva un anno e mezzo dopo che l’esercito ha annunciato la sua guerra al terrorismo, il governo egiziano non risponde. La questione non può nemmeno essere discussa dai media, dal momento che le autorità governative hanno imposto una censura tale che questi, ormai, sono solo uno strumento dell’esercito, incapaci quindi di dire la verità.

Raccogliere fatti e informazioni per rispondere a questa domanda, con le ingenti misure di sicurezza che sono state predisposte, è molto difficile. Tuttavia, Al-Monitor è riuscito a contattare un ufficiale che ha partecipato alle operazioni militari nel Sinai, secondo il quale il problema sta nelle strategie tradizionali adottate dell’esercito, inappropriate nella lotta contro un gruppo terroristico che conosce il Sinai come il palmo della sua mano, a differenza dei soldati egiziani. Questi, infatti, non sarebbero capaci di portare a casa nessun risultato senza il sostegno degli abitanti della Penisola.

Per illustrare ulteriormente le ragioni del fallimento dell’apparato securitario, l’ufficiale ha sottolineato la mancanza di informazioni, che si suppone siano un elemento importante dei servizi di intelligence. Inoltre, ha fatto riferimento alla “routine quotidiana praticata nelle campagne militari”: ci si muove con i mezzi pesanti impiegati nelle guerre sistemiche tra civili; dopo ogni campagna giornaliera bisogna riferire tutto ai dirigenti per dimostrare la continuità delle operazioni; si è costretti a bruciare i nidi (capanne fatte di canne e foglie di palma dove vivono i poveri o dove si riuniscono i leader tribali), da noi chiamati focolai terroristici, così come le auto e le moto; bisogna poi fare arresti random in determinate zone, come Sheikh Zuweid e Rafah. Tutto ciò viene abitualmente pubblicato sulla pagina del portavoce militare.

La terza ragione dietro a questo fallimento, deriva dal dover fare pressione sui detenuti e sottoporli a gravi torture per ottenere informazioni, e questo porta alla graduale perdita di simpatia per l’esercito, soprattutto perché la maggior parte dei detenuti sono innocenti.

Per quanto riguarda i risultati dei militari nell’eliminare i terroristi, uno sceicco del Sinai, vicino ai servizi segreti, ha detto ad Al-Monitor che i risultati reali non sono soddisfacenti. Secondo lui, l’esercito ha la determinazione e le capacità per purificare il Sinai in un lasso di tempo record, ma la burocrazia e l’inadeguata identificazione del problema da parte di alcuni leader, che non sono abbastanza preparati per comprendere la realtà della Penisola, rendono quasi impossibile raggiungere questo obiettivo.

Nonostante i militari asseriscano progressi nell’eliminazione del terrorismo nel Sinai, gli osservatori hanno assistito a un grande picco di attacchi terroristici. Dopo gli attacchi di gennaio 2015 ad el-Arish, Sisi ha autorizzato la formazione di quello che lui chiama “il comando unificato della parte orientale del canale”, a cui dovrebbero partecipare sia il secondo che il terzo esercito.

Tuttavia, l’opinione di un esperto di questioni del Sinai è che la soluzione non è cambiare le persone, ma la loro mentalità, sviluppando strategie adeguate a contrastare il terrorismo sulla base di una comprensione immediata degli avvenimenti. Occorre limitare le lamentele tra gli innocenti, poiché sono terreno fertile per il terrorismo, e bisogna conquistare la fiducia della popolazione del Sinai dando loro garanzie concrete circa il riconoscimento dello loro stato, il diritto alla cittadinanza e allo sviluppo, e allo stesso tempo coinvolgerli nella ricerca di soluzioni al problema. Infine, bisogna abbandonare la guerra sistemica in un’area urbana che i terroristi conoscono a menadito e autorizzare le forze professionali dell’esercito e della polizia a combattere il terrorismo, come ad esempio le unità anti-terrorismo internazionali della polizia.

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