Con altre parole Letteratura

“Sette paia di scarpe” di Eliana Iorfida

eliana iorfida

(Foto di FerMentis)

Il tuo amato è lontano da qui. Dovrai consumare sette paia di scarpe per trovarlo! La fanciulla allora partì attraverso strade, deserti, boschi, e il giorno in cui finì per consumare il settimo paio di scarpe arrivò davanti al cupo castello in cui il jiin teneva incatenato il suo principe”.

È un brano di un racconto di origine persiana diffuso in tutto il mondo arabo, dal quale trae il titolo il primo romanzo di Eliana Iorfida, archeologa e scrittrice calabrese, pubblicato nel 2014 per le Edizioni Rai-Eri e classificatosi al secondo posto nell’edizione 2013 del Premio Letterario La Giara.

eliana iorfida sette paia di scarpe

“Sette paia di scarpe” narra le vicende di Aidha e dei suoi due fratelli minori che lasciano Beirut alla vigilia della guerra israelo-libanese del 2006, diretti in Siria, nel villaggio di origine della madre. È un viaggio che i tre giovani non vorrebbero affrontare, soprattutto per non lasciare il padre da solo a Beirut. Ma è proprio quest’ultimo che insiste affinché i ragazzi si mettano in salvo e raggiungano la famiglia materna.

La voce narrante è quella di Aidha, una giovane donna con una profonda sensibilità nei confronti dell’umanità che emergerà nel corso della storia e che inizia a svelarsi fin dalle prime pagine, quando nel descrivere il viaggio che da Beirut conduce Aidha, Nashat e Tahir fino al villaggio di Umm-Ar-rabiah l’autrice si sofferma sulle riflessioni della ragazza: “Molte ragazze viaggiavano in compagnia dei figli e di donne più anziane, che le “scortavano” al posto dei mariti. La maggior parte di loro avrà avuto la mia età, ma sembravano più grandi, fasciate com’erano nei lunghi soprabiti scuri (…) Lontano da grandi città come Beirut e Damasco, la vita per le donne era molto più dura di quanto sospettassi. Provai disagio coi capelli sciolti e, malgrado non l’avessi mai fatto prima, decisi di indossare un vecchio hijab di mia madre. Intuivo le rinunce quotidiane di quelle donne, i segreti nascosti sotto i veli all’apparenza impalpabili, ma che a volte dovevano essere pesanti come macigni”. Provenendo da una grande e moderna città, Aidha si trova per la prima volta al cospetto di un ambiente sociale diverso, dove le regole e le tradizioni vedono spesso le donne soccombere rispetto ai maschi. Un universo che inaspettatamente la fagociterà proprio all’interno della famiglia di sua madre, nel confronto con parenti mai incontrati prima e che non sembrano accogliere con l’atteso e sperato calore i tre ragazzi provenienti dal Libano.

Per Aidha sarà molto faticoso conquistare la fiducia di zii e cugini, e soprattutto sarà dura imporre la volontà di conoscere di più la sua defunta madre, le sue origini, la vita che aveva vissuto in quello sperduto villaggio della Jazeera, prima di sposare suo padre e trasferirsi a Beirut.

Il racconto di Aidha si fa sempre più incalzante e intreccia le vicende familiari con quelle legate allo sviluppo di una importante area archeologica, denominata “il tell” nella quale svolgono la loro attività numerosi professionisti provenienti da molti Paesi stranieri (ci chiediamo se fra le archeologhe italiane ci sia anche l’autrice!) e alla quale collaborano anche alcuni uomini del villaggio.

In questo doppio scenario l’autrice riesce a regalarci la descrizione di una Siria sospesa fra le tradizioni familiari e la solennità della storia, fra il rispetto delle regole religiose e la magia delle credenze popolari. Una Siria ancora intatta e non frantumata da una folle guerra. Una Siria che ancora si mostrava al mondo con tutta la sua maestosità, con le sue ricchezze artistiche e la sua storia. Fra le pagine di questo libro si srotola una Siria fatta di confidenze fra amiche, di lezioni di cucina antica, si respira la vita come era nei villaggi, dove gli ingredienti salienti erano la genuinità, la spontaneità, la condivisione. Ma è anche una Siria in cui i rapporti familiari spesso venivano ammantati dal velo della riservatezza, della vergogna, dell’omertà. Come nel caso della storia privata di Asiya, la madre di Aidha. La ragazza, con caparbietà e determinazione, andrà incontro alla verità, perché il bisogno di conoscere sua madre è troppo forte e anche se sarà doloroso scoprire quello che Asiya ha dovuto subire dalla sua famiglia e da una contingenza sociale profondamente ingiusta nei confronti di una donna, Aidha dovrà passare attraverso quel dolore, per lasciarsi poi avvolgere con più consapevolezza dal ricordo di sua madre.

Ne deriva un affresco in cui le donne diventano protagoniste della storia, nel bene e nel male, e si dimostrano in grado di sfoderare una forza pari alla loro fragilità, in un afflato di energia e compassione che le salva da un mondo ostile, dominato da maschi padroni.