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“Sette giorni a Dakar. Viaggio in Senegal” di Massimo Giannini e Luca Macchiavelli

“Sette giorni a Dakar. Viaggio in Senegal” di Massimo Giannini e Luca Macchiavelli
Dal blog Con altre parole di Beatrice Tauro

“Sette giorni a Dakar. Viaggio in Senegal” di Massimo Giannini e Luca MacchiavelliIl libro di cui ci occupiamo oggi, pubblicato in Italia nel 2004 dalle Edizioni dell’Arco, è il reportage di un viaggio in Senegal, con parole e immagini, redatto da Massimo Giannini, che ne ha curato i testi, e Luca Macchiavelli che invece ne ha curato le fotografie.

I due si conoscono a Milano in occasione di una festa senegalese e vengono entrambi cooptati dal comune editore per recarsi in Senegal allo scopo di documentare il Tabaski, la più importante festa musulmana.

Dakar pare un immenso villaggio, già sveglio in questo giorno di Tabaski, la «grande festa», così come la celebrazione del Eid al-Kebir, viene chiamata dai senegalesi”. I due reporter intraprendono così un viaggio di sette giorni attraverso le sterrate e polverose strade del Senegal, un paese nel quale l’Italia e gli italiani sembrano molto ben voluti, forse perché «gli Italiani non ci conoscono ancora bene» come spiega Fallou, l’uomo che ospita i due giornalisti.

Nelle pagine del volume, alternate a bellissime fotografie in bianco e nero, scorrono le descrizioni della capitale Dakar che cerca smodatamente di trovare la sua modernizzazione nei numerosi grattacieli, ma che invece ritrova il suo vero spirito nei mercati colorati e caotici che si sviluppano lungo le strade, anche quelle principali che dovrebbero essere dedicate al solo traffico automobilistico. Le parole del reporter, così come le immagini, ben rappresentano il caos ma anche la tranquillità che attraversa questo paese e il suo popolo, in una dolce e continua contraddizione.

Nel raccontare la festa di Tabaski, con i rituali del sacrificio dei montoni, gli autori sottolineano come “in Africa o Asia che siano, i musulmani mantengono una comunanza di costumi sorprendente”.

La cronaca del viaggio, fra numerosi inconvenienti tecnici, fa emergere il senso di precarietà che regna in questo paese, in contrasto con lo spirito occidentale che tende a tenere tutto sotto controllo “Nessuna programmazione europea può avere la meglio sullo spirito senegalese”.

Particolarmente interessante è l’episodio dell’incontro con un Marabout che preparerà un amuleto protettivo per Massimo, ferito dalle pericolose spine di un cactus. L’iniziale diffidenza, tipicamente occidentale, lascia spazio alla fiducia e all’accoglimento di una pratica sicuramente distante dai nostri standard curativi, ma che alla fine si rivelerà decisamente efficace.

Ciò che i due maggiormente apprezzeranno del popolo senegalese è quella attitudine all’accoglienza, alla condivisione che gli è propria “In Senegal il concetto di famiglia è stato allargato, col cosiddetto cousinage, non solo ai parenti di tutti i gradi, ma anche agli amici, ai vicini, in definitiva al villaggio. È veramente difficile rimanere soli in Africa”.