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Sarah Maple: una lode al femminismo, l’onnipotente

Di Ayla Mrabet. Free Arabs (20/03/2014). Traduzione e sintesi di Lia Brigida Marra.

Nata nel Sussex nel 1985 da madre iraniana di religione musulmana e padre egiziano di religione cristiana, Sarah Maple se la cava bene quando si tratta di difendere le proprie convinzioni: oltre a spiegarle, dà loro un volto mediante tele, fotografie, video e spettacoli che utilizzano, con un umorismo chiassoso, un mix di identità, genere e islam quale arma di provocazione. La giovane artista, laureatasi alla facoltà di Belle Arti della Kingston University, ha vinto il premio “Four New Sensations” per gli artisti emergenti e sta attualmente tenendo una mostra personale alla Golden Thread Gallery di Belfast.

I lavori della Maple, spesso basati sull’immaginario musulmano della donna oggetto, rappresentano il suo modo di dichiarare il proprio femminismo. Dai burqa ai nudi, dai poster alle tele, dagli spettacoli ai video: l’artista gioca con un’ampia gamma di mass media, avvalendosi di un riconoscibile tocco personale. “Voglio sfidare le persone e indurle a riflettere, dar loro cibo per il pensiero che continuerà a rimanere impresso nella mente per le settimane, i mesi e perfino gli anni a seguire. Spesso il mio lavoro consiste nell’evidenziare cose che sono state normalizzate a tal punto che quasi non le si nota più”, spiega l’artista, aggiungendo: “Con il mio lavoro cerco di descrivere l’esperienza di essere una donna occidentale e al contempo una musulmana, due cose che non sembrano andare d’accordo. Dentro di me, avverto un senso di colpa costante rispetto all’essere una buona musulmana e al cercare di risultare quanto più assimilata possibile alla cultura occidentale. I motivi dei miei lavori rispecchiano a pieno i motivi della mia vita”.

Nel 2009, Sarah Maple ha realizzato una tela intitolata “Dio è una femminista”. Oggi, l’artista ha deciso di riusare quel titolo particolare per la sua mostra personale. “In quel lavoro, molte persone intravidero una critica all’oppressione delle donne musulmane”, spiega l’artista, che inoltre sottolinea: “Non era assolutamente questo il mio messaggio: io intendevo sfidare la percezione della donna musulmana quale vittima. In quell’opera, pensavo a come in Occidente vi sia un’ossessione per le donne sessualmente attraenti. Pensavo a come ciò possa essere considerato una forma di oppressione, mentre ci può essere libertà nel coprirsi. Pensavo a come lo scopo ultimo della religione sia quello di renderci persone migliori. Riflettendo su tutto ciò, mi venne in mente il titolo “Dio è una femminista”. So che per molte persone è una cosa molto controversa da sentire. Una mia amica, femminista e atea, vi reagì molto male: allora, capii che la tela era un successo!”.

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