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Samira, la “reclutatrice” di donne per Daesh

Samira Yerou

Di Patricia Ortega Dolz. El País (14/03/2015). Traduzione e sintesi di Roberta Papaleo.

“Questo è un vero uomo!”, aveva gridato al marito Samira Yerou mostrandogli una foto dal suo cellulare di un tipo barbuto, un combattente di Daesh (ISIS). Le cose nella coppia non andavano bene già prima che Samira venisse arrestata con l’accusa di appartenere a un’organizzazione terrorista, fermata in Turchia e riportata in Spagna la scorsa settimana.

Nel 2000 era emigrata dal Marocco per finire i suoi studi e aveva conosciuto il futuro marito, anche lui marocchino. La nascita nel 2012 del piccolo Mohammad non fu certo uno stimolo per il giovane matrimonio (già il secondo per Samira), anzi tutto il contrario: dopo pochi mesi, Samira decise di lasciare il marito e tornare dalla sua famiglia a Tétouan, in Marocco, portando il piccolo con sé.

Daesh social networkNiente avrebbe fatto sospettare che quando fosse tornata in Spagna, un anno dopo, non sarebbe più stata la stessa. Nessuno, nemmeno sua sorella, pensò che nel giro di pochi mesi Samira poteva essersi trasformata in una donna radicalizzata, dipendente da Facebook, attaccata gelosamente a due cellulari e a un tablet attraverso i quali manteneva contatti costanti con leader di Daesh e figure religiose in Siria, Iraq, Emirati Arabi, Giordania e Arabia Saudita.

Era il 2013. Era sola, con un bambino nato da poco, di nuovo nella sua città natale. Scelse di riavvicinarsi alla shari’a, disposta a trovare nella legge islamica la chiave per aggiustare la sua vita. Cominciò a passare ore davanti al computer, a frequentare i social network, sopratutto Facebook. Lì conobbe il suo fidanzato virtuale, un uomo che le dava consigli, che gli prometteva un futuro migliore in Siria, una “vita pura”, le parlava dei vantaggi per le donne che si univano “alla difesa dell’islam attaccato dall’Occidente” e che lottavano contro “gli sciiti iraniani che vogliono invadere la Siria”. Era il tipo barbuto della fotografia che avrebbe poi mostrato al marito.

La storia di Samira, però, non era solo quella di un amore virtuale: aveva qualcosa che la rendeva diversa dalle altre donne unitesi a Daesh dall’Europa. Qualcosa che l’avrebbe trasformata in una figura chiave, un donna VIP di Daesh. Samira sarebbe stata la calamita per attirare almeno 40 donne ad unirsi allo “Stato Islamico”, assicurandone così la sopravvivenza. Samira si sarebbe convertita in una reclutatrice.

I jihadisti si resero conto col tempo che aveva qualcosa di molto prezioso, un grande potenziale: il figlio di tre anni Mohamed, oggi sotto custodia del padre in Spagna dopo che le autorità hanno accusato la madre per sequestro di persona per aver tentato di portarlo con sé in Siria attraverso la Turchia. Il fatto di essere disposta a portare suo figlio con sé appariva agli occhi del suo fidanzato virtuale come un segno di un’enorme determinazione, nonché un forte elemento di persuasione per reclutare altre donne. Un bambino al quale Samira mostrava i video delle decapitazioni, un minore con una grande potenza mediatica, che a soli tre anni è arrivato a dire frasi come “Sgozzo il poliziotto; mi unisco ai mujahidin; Abu Bakr al-Baghdadi è il nostro emiro”.

Le donne reclutate da Samira provenivano da Belgio, Italia, Francia, Russia e Paesi arabi. Conosceva tutte le loro mosse, dal momento della partenza a quello in cui varcavano la frontiera o vi venivano fermate. Decine di giovani cadute nella rete attentamente tesa dai membri del “califfato”, un sofisticato sistema di cattura studiato e orchestrato dai propagandisti di Daesh attraverso Facebook, Twitter e WhatsApp. “Esistono utenti di Daesh dedicati all’elaborazione di messaggi e dottrine perfettamente pensati per reclutare persone dai social network”, assicurano fonti dell’investigazione, mentre si continuano ad analizzare i molti contatti stabiliti da Samira negli ultimi mesi.

Patricia Ortega Dolz è una giornalista spagnola di El País.

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