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La revisione della politica estera della Turchia

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Di Bakr Sidqi. Al-Quds al-Arabi (23/06/2016). Traduzione e sintesi di Laura Cassata.

Alcuni giornali hanno parlato del completamento degli accordi per la normalizzazione dei rapporti tra la Turchia e Israele. Fonti israeliane sostengono che i due paesi si trovano d’accordo sul 95% dei problemi, il restante 5% è ancora in via di risoluzione. Israele chiede che vengano chiusi gli uffici di Hamas presenti in Turchia, la quale potrebbe essere facilitata nel liberarsi da questo fardello grazie al riposizionamento di Hamas tra le fila dell’asse iraniano. Ankara, invece, vorrebbe l’apertura di un passaggio privilegiato verso Gaza, al fine di completare la costruzione di un ospedale, senza ostruzioni da parte delle autorità israeliane. Israele ha accettato questa “formula flessibile”, acconsentendo anche all’utilizzo del porto di Ashdod.

Il nuovo primo ministro turco, Benali Yildirim, ha annunciato che il motto della politica estera del suo governo è: “Più amici e meno nemici”. Considerata la natura del suo rapporto con Erdogan, possiamo dire che questa è l’espressione di una svolta, al fine di evitare critiche e pressioni da parte di americani, russi ed europei.

È possibile che il desiderio di Erdogan di accelerare la normalizzazione dei rapporti con Israele sia anche un mezzo per ottenere una via d’accesso per Mosca e Washington.

Ritornano però a galla tutte le tensioni tra la Turchia e la Russia e le differenze tra Ankara e Washington sulla politica turca in Siria. Sin dall’inizio dell’intervento russo in Siria, Erdogan ha dovuto accettare, borbottando, la permanenza al potere del “macellaio” siriano durante la fase di transizione. I rapporti con la Russia si sono poi complicati a causa dell’abbattimento di un aereo da parte della Turchia. Si dice che il cambiamento della politica di Erdogan in Siria sia una delle condizioni implicite di Mosca, oltre a quelle esplicite, come le scuse pubbliche e il pagamento di un risarcimento.

In questo contesto, la pressione russa si interseca con le preoccupazioni sulla costituzione di un’entità curda lungo il confine turco-siriano. Questa situazione ha un precedente storico: gli Accordi di Adana del 1998, i quali portarono alla cacciata di Abdullah Öcalan, che venne poi imprigionato in Turchia.

Oggi, invece, è presente un altro canale informale, rappresentato dal leader turco del Partito della Patria. Doğu Perinçek ha personalmente incontrato Assad lo scorso febbraio ed entrambi hanno dichiarato di essere favorevoli a un riavvicinamento tra i due paesi, anche se Damasco chiede che si ponga fine all’esportazione di terroristi in Siria.

Sembra che l’ossessione per i curdi, che costituisce un elemento genetico della Repubblica turca, sia capace di fare miracoli. Ma intanto, le guardie turche di frontiera, pochi giorni fa, hanno ucciso un’intera famiglia siriana, il cui unico crimine era quello di voler fuggire dalla morte.

Bakr Sidqi è uno scrittore siriano residente in Turchia, specializzato nella questione curda.

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