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Razan Zaitouneh: l’attivista assente

Razan Zaitouneh Siria

Di Rima Flihan. Al-Araby al-Jadeed (30/11/2015). Traduzione e sintesi di Marianna Barberio.

Il tuo sogno, Razan, era più grande di quello che potevano contenere menti chiuse. E noi, come molti siriani, abbiamo condiviso lo stesso sogno. So anche che tu non hai avuto paura, perché rincorrevi quel sogno, che occupava le tue giornate e non lasciava spazio a sentimenti di sgomento.

Due anni fa, in questi stessi giorni, Razan Zaitouneh veniva minacciata. Allora tentai di convincerla a lasciare la Siria, ma incontrai il suo rifiuto. Mi disse che non avrebbe lasciato il suo Paese fino a quando non si fosse realizzato il suo sogno, ovvero la caduta del regime e la formazione di uno Stato democratico, civile e pluralista, uno Stato egualitario per i suoi cittadini. Razan è la giovane donna che ha votato la sua vita alla difesa dei prigionieri di coscienza; lei è uno spirito libero, emotivamente e moralmente, che non accettava menti scure o portatrici di pensieri fuorvianti. Ma alcuni hanno deciso di soffocare tale presenza impegnata, mente viva che aveva condiviso insieme ad altri siriani momenti di sofferenza, morte e oppressione.

Per più di tre anni, durante il mio impegno nel Comitato di Coordinamento Locale per la Rivoluzione, ho visto una Razan scendere in piazza e prendere parte alle manifestazioni; la sua voce si muoveva in ogni luogo per monitorare la sofferenza e la morte. Non le era concesso riposare, perché sulle sue spalle ricadeva un peso enorme, come sulle spalle di tutti coloro che l’affiancavano. Si addossò la responsabilità di guidare i siriani verso una fase epocale. Era stata sempre in grado di ricoprire posizioni simili, una tra i fondatori del Comitato di Coordinamento Locale, leader rivoluzionario, attivista per la difesa dei diritti umani, e prodiga nel campo civile, nel soccorso e in quello mediatico, Razan era una fonte inesauribile di speranza, pronta a risollevare molti di noi quando colpiti da attimi di sconforto. Razan era il mio sostegno, l’appiglio a cui mi affidavo per rialzarmi.

Insieme abbiamo condiviso l’impegno e l’intento di creare una nazione democratica e libera, che avrebbe concesso ai siriani giustizia, libertà e uguaglianza. Per questo, non possiamo ridimensionare il suo rapimento – e con lei quello di Samira al-Khalil, Nadhem al-Hamadi e Wael Hamadah – come un semplice sequestro di attivisti in luoghi di guerra. Tale rapimento rappresenta il rapimento di un programma, di un concetto, e del senso proprio della rivoluzione. Esso indica l’arresto della nozione di resistenza pacifica, l’allontanamento del vero spirito della rivolta, come apparso sui cartelli dei rivoluzionari in ogni angolo della Siria nel primo anno della rivolta, prima che la società fosse contaminata da pensieri degeneranti e poi militarizzati.

Chi ha rapito Razan Zaitouneh, ha rapito la rivoluzione, quell’eco sincero di speranza dei liberali a vantaggio di eserciti che non incarnano il sogno dei bambini di Deraa, o delle voci nelle strade di Damasco, Hama, Aleppo, Zabadani e Kafr Nabl, unite al grido: “Allah, Siria, Libertà”, “Uno, uno, uno, il popolo siriano è uno”. Sono trascorsi due anni dal rapimento dei quattro attivisti impegnati nell’azione civile, dal punto di vista morale e nazionale.

Il dibattito in corso alla tavola di conferenze e negoziati circa il futuro della Siria, si completerebbe con l’assenza dei soli in grado di rappresentare il popolo siriano, e tra questi, Razan Zaitouneh, Michel Shamas, Abdelaziz al-Kheir, Adnan Zaray, Nabil Sharbajy e Yahya Sharbajy, e tanti altri che non possiamo ricordare perché assenti nelle carceri siriane e forse detenuti nei rifugi sotterranei dei rapitori. Spero però che questi nomi siano presenti tra quei siriani che parteciperanno ai prossimi negoziati e conferenze, affinché si faccia chiarezza sul loro destino, e se ne richieda il rilascio, insieme a tutti gli altri detenuti e rapiti in Siria. Una tale azione permetterebbe di giungere ad una fase di giustizia transitoria e al riconoscimento dei propri diritti a chi li ha persi, alla condanna dei criminali di guerra e dei violatori dei diritti umani, ovunque essi siano.

Al secondo anniversario del rapimento dei quattro attivisti, i nostri cuori sono ancora divisi tra sofferenza e speranza. E noi continuiamo ad aspettare.

Rima Flihan è una scrittrice, attivista per la difesa dei diritti umani e sceneggiatrice siriana.

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