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Il rapporto Chilcot: conseguenze catastrofiche di una guerra illegale

rapporto chiclot iraq
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Di Saeed Al-Shehabi. Al-Quds Al-Arabi (11/07/2016). Traduzione e sintesi di Marianna Barberio.

Sbaglia chi crede che il rapporto Chilcot, pubblicato la settimana scorsa a distanza di sette anni dal suo avvio, possa influire in qualche modo sulla politica estera britannica o portare alla condanna dell’ex primo ministro, Tony Blair. 

Il rapporto condanna chiaramente la decisione presa dalla Gran Bretagna in merito alla guerra in Iraq nel 2003, che potrebbe considerarsi alla base della trasformazione avvenuta a livello regionale e dell’aggravarsi di atti terroristici; tuttavia, dimostra anche che qualora i funzionari britannici fossero cauti nell’affrontare situazioni del genere, di certo il loro comportamento non cambierebbe il corso della storia, specie nella politica espansionista e dominante britannica al di fuori dei propri confini geografici, separati ora dall’Unione Europea.

Da notare che il primo impulso alla formazione di una Commissione di Inchiesta presieduta da Sir John Chilcot (attivo per decenni nel servizio civile) e che riveste un’importanza capillare nella storia contemporanea britannica, deriva dalle pressioni esercitate dalle famiglie delle vittime britanniche, uccise durante l’invasione irachena tra il 2003 e il 2009, il cui numero si aggira intorno a 179.

Quindi, né la morte di più di 150 mila iracheni, né l’escalation del terrorismo, né tantomeno la tragedia umana, politica e di sicurezza in Medio Oriente sono stati fattori influenti nella formazione della Commissione. Al contrario, i familiari delle vittime britanniche sono stati decisivi nel mostrare il proprio rancore per una guerra che ha minacciato la sicurezza e stabilità dei due paesi, contro un leader rivelatosi il peggiore esempio tra i capi responsabili del suo popolo.

Il rapporto condanna la guerra in termini di fallimento e di perdita e mira ad evitare il ripetersi degli stessi errori in futuro. Su questo punto, non si è del tutto d’accordo, in quanto la Gran Bretagna non rimarrà di certo estranea alla politica di intervento estero, e di sicuro vi sono pochi leader – attuali o futuri – pronti a trarne vantaggio. Di conseguenza il popolo britannico sarà costretto a pagare il prezzo delle politiche di quell’enorme organizzazione che si definisce come l’erede legittima del vasto lascito coloniale.

Il rapporto Chilcot ha senz’altro contribuito alla fine della vita politica di Tony Blair, il quale non è sembrato per nulla pentito della decisone presa; anzi, è apparso convinto della sua posizione e della sua politica. È chiaro che la Commissione di inchiesta non lo condannerà per l’accusa di negligenza o per aver ingannato il Parlamento e il suo popolo. L’accusa è rivolta all’allora presidente americano, George W. Bush, il quale trascinò la Gran Bretagna in ogni operazione militare in Iraq, un anno prima dell’inizio della guerra e prima che la questione fosse presentata al Parlamento stesso.

Intanto, l’ex primo ministro Blair ha voluto giustificare la sua posizione basandosi su due affermazioni false, e smentite dal rapporto. La prima riguardo al possesso di armi di distruzione di massa da parte di Saddam Hussein, e quindi per ragioni di sicurezza; la seconda rimanda alla possibilità di entrare in guerra al fianco degli Stati Uniti senza un’approvazione da parte delle Nazioni Unite. Le critiche nel rapporto insistono soprattutto su quest’ultimo punto: l’assenza di una decisione da parte delle Nazioni Unite così come l’assenza di un piano di sicurezza da applicare nella fase successiva alla caduta del regime di Saddam Hussein. E questo ha provocato infine una situazione di disordine a livello locale e regionale, contribuendo alla maggiore diffusione del terrorismo e all’emergere poi di Daesh (ISIS).

Saeed Al-Shehabi è un attivista politico, giornalista, commentatore e membro del Movimento di Libertà del Bahrein, a Londra.

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