Siria Zoom

Quattro racconti dalla Siria

Siria

Al-Jazeera (17/03/2015). Traduzione e sintesi di Claudia Avolio..

Hadi al-Abdallah (Idlib) – attivista

siria sirianiInsegnavo e studiavo a Hama nella prima ondata di proteste. Io e i miei amici a Homs vi abbiamo preso subito parte. La rivoluzione ha completamente cambiato chi sono. Separato dalla mia famiglia, vivendo una paura estrema, ho visto la morte molte volte, ed ora mi ci sono abituato. Come riassumerei gli scorsi 4 anni? Sono sembrati 40, ma non ce ne pentiamo. Tutto ciò che abbiamo chiesto sono i nostri diritti, i nostri diritti umani di base. Questa rivoluzione non è stato un sbaglio. Siamo stati lasciati soli in molti modi. Il mondo non ha preso le decisioni giuste per porre fine a questi crimini. Negli ultimi 4 anni ci siamo sentiti abbandonati su tutti i livelli ma questo non ci farà fermare, ritrattare o stufarci. Continueremo a lavorare e a proteggere la nostra rivoluzione.

Tutti ci aspettavamo la dura reazione del regime di Assad, ma ciò che non ci aspettavamo era questo tipo di reazione da parte del mondo. Lasciati soli dai media, dalle organizzazioni umanitarie, ed anche militarmente. La mia giornata dipende dal posto in cui vivo. A Qusayr documentavamo le battaglie, i bombardamenti e i feriti. Nel Qalamun e a Yabrud mediavo tra le forze di opposizione, cercavo di unirle. Nella Siria del Nord, ad Idlib e nei sobborghi di Aleppo, documento e filmo battaglie e distruzione, ma gran parte delle mie giornate qui le trascorro pianificando la Siria del dopoguerra. Lavorando per dare potere alle donne ed includerle nella fase di transizione. La mia giornata è dedicata alla Siria, ogni giorno.

Un operatore umanitario (Homs)

Ero uno studente a Hama, e vivevo a Homs. La mia vita era semplice, facevo sport per gran parte del tempo. All’inizio della rivolta, ero scioccato e terrorizzato quando vedevo persone ferite o morte. Ma siccome mi è successo così tante volte, è diventato normale vedere un corpo bruciato, senza testa o senza arti. Ho visto tanto. Sono arrivato a un punto in cui ho dimenticato come vivevo prima, tutto ciò che avevo imparato coi miei studi di economia, banche e finanze è stato rimosso dalla mia memoria. Sono molto depresso, quattro anni della mia vita se ne sono andati via così. Immaginavo di laurearmi e spostarmi nel Golfo per lavorare, come gran parte dei miei amici. Ora anche se volessi partire, nessuno Stato del Golfo mi darebbe un visto, perciò la mia vita si limita a stare qui.

Abu Khaled, nel quartiere sotto assedio di Waer (Homs)

Avevo un mini-market nel quartiere di Waer, l’ultima zona di Homs controllata dai ribelli: ora so che quelli sono stati i migliori giorni della mia vita. Ora viviamo nella distruzione, e non se ne vede la fine. Case, scuole, ospedali e in ogni altro punto in cui guardiamo, vediamo distruzione. Solo in pochi di noi siamo rimasti qui. Non abbiamo altro da fare che sederci ed aspettare. Aspettare il cibo, aspettare la sicurezza e aspettare la speranza. Nel primo anno della rivoluzione avevamo grandi speranze: sentivamo che finalmente la libertà stava giungendo. Con l’avvicinarsi del secondo anno le nostre speranze erano anche più profonde, e pensavamo ci fossero progetti più grandi per la Siria – una Siria nuova, libera.

Speravamo che gli Stati arabi e la comunità internazionale sarebbero venuti in nostro soccorso, ma come dice un proverbio arabo il ghiaccio si è sciolto e la verità su quei Paesi è stata rivelata. Siamo stati abbandonati sin dal primo giorno. Il terzo anno ha portato con sé altro sangue, altre tragedie, e distruzione. Il quarto anno ci ha dimostrato che non c’è rimasto nessuno qui ad aiutarci a parte Dio. Viviamo come in una prigione, a malapena un po’ di cibo, nessun riscaldamento e neppure quanto basta a sopravvivere. Abbiamo ancora speranza che la gente proverà di nuovo compassione: questo è ciò che ci fa andare avanti.

Umm Tawfiq, casalinga sfollata (Damasco)

Avevamo una casa e vivevamo con dignità, la mia famiglia e la mia casa erano la mia vita. Quando è iniziata la rivoluzione eravamo entusiasti del cambiamento. Ma poi ho perso mio marito e mio figlio, più tardi anche la nostra casa – in pratica ho perso tutto giorno dopo giorno. Abbiamo avuto dalla rivoluzione solo distruzione e sangue. Ho vissuto nelle condizioni peggiori negli ultimi quattro anni della mia vita. Ho vissuto nel dolore, ho visto il dolore nelle vite delle altre persone. Ora vivo coi miei quattro figli in una cava che chiamo stanza. Non dovremmo vivere qui, non è sicuro né igienico ma è tutto ciò che posso permettermi: ci pago anche l’affitto. Prima della rivoluzione vivevamo nell’oppressione. Dopo l’avvento della rivoluzione abbiamo vissuto ancora nell’oppressione e continuiamo a farlo ogni giorno. Direi che è una schiavitù. Ora paghiamo il prezzo per gli sbagli di altre persone. Non abbiamo mai vissuto in libertà, non ci viviamo neppure ora e non so se ci vivremo mai.

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