Di Hassan Haidar. Al-Arabiya (27/11/2014). Traduzione e sintesi di Carlo Boccaccino.
Nessuno assomiglia a Bashar al-Assad più di Vladimir Putin. Entrambi ricorrono alla violenza per restare al potere, il primo all’interno del proprio Paese dopo esser stato interrotto nella sua espansione esterna, il secondo al di fuori dei propri confini per evitare problemi interni. Tutti e due alterano la realtà attraverso un regime e una Costituzione che sono posti al servizio di quest’unico obiettivo, noncuranti delle conseguenze per i rispettivi Paesi.
Il governatore di Damasco, che non controlla più del 35% del territorio siriano, si comporta come se fosse ancora l’autorità assoluta della Siria e non perde occasione di occuparsi e rilasciare dichiarazioni sul terzo fronte e su alcuni politici libanesi davanti ai suoi ospiti che si limitano a essere funzionari iraniani e russi. Egli parla di “popolo siriano” riferendosi alle pochissime persone che, a causa della mancanza di mezzi, sono costrette a vivere nel terrore nelle zone soggette all’oppressione esercitata dalla sua intelligence e dalle sue milizie; parla di lotta al terrorismo, di cui è stato tra i primi promotori e sostenitori; continua a gestire molte delle sue organizzazioni e non si vergogna a imporre le sue condizioni per fermare la guerra contro i suoi cittadini, né si fa scrupoli a considerarsi il candidato eterno a qualsiasi elezione e in ogni tempo. E raramente gli sfugge l’opportunità di ringraziare Teheran e Mosca per averlo sempre sostenuto in modi molteplici, specialmente sotto il profilo militare.
Per quanto riguarda Putin, che è al Cremlino formalmente da quattordici anni (se si comprendono gli anni di governo di Dmitrij Medvedev, che si è rivelato un suo fantoccio), i russi dichiarano che non è improbabile che si candidi per un quarto mandato nel 2018, aleggiando sopra le loro teste fino al 2024, a meno che il desiderio del “rappresentante del popolo” non sia quello di modificare la Costituzione ed avere la presidenza a vita.
Il piccolo Zar presuntuoso non si preoccupa che la sua rischiosa impresa in Ucraina porti il suo Paese ad un isolamento politico crescente, come è avvenuto dopo il vertice del G20 e attraverso sanzioni economiche definite da Putin stesso “disastrose”, che hanno riportato il Paese indietro di un decennio. Ciò che è importante per lui è assicurarsi di essere in grado di combattere i “nemici” che vogliono “sottomettere” la Russia, tentando di far tacere i suoi oppositori interni – che paragona ad un virus – dopo aver provato ad imprigionarli, assassinarli e imbavagliarli con leggi che avevano lo scopo di purificare le istituzioni.
Assad e Putin hanno incrociato il loro cammino con la proposta di Mosca sul “dialogo siriano”, in cui una delle parti è rappresentata dal Governatore di Damasco, che sarà il secondo a sedersi di fronte a Putin. Per quanto riguarda l’obiettivo del dialogo, al cui riguardo Teheran non ha rilasciato commenti, esso non è trovare un’alternativa ad Assad, ma “cercare di resistere al pericolo del terrorismo internazionale”, nell’evidente disprezzo delle centinaia di migliaia di vittime siriane, che sono morte e che continuano a morire a causa delle stragi perpetrate dall’esercito del regime.
Hassan Haidar scrive articoli di opinione per il quotidiano Al-Hayat.
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