Politica Zoom

Provocazione iraniana

L’opinione di Al-Quds al-Arabi (17/4/2012). Traduzione di Carlotta Caldonazzo

L’ultima visita del presidente iraniano Mahmoud Ahmadi Nejad all’isola di Abu Musa è stata una vera e propria provocazione, sia in termini di tempistica che per il messaggio che ha voluto inviare al Consiglio di cooperazione del Golfo (Ccg) e al mondo arabo. In tal senso non suscita stupore il fatto che i ministri degli esteri del Ccg, durante il vertice di Doha, abbiano ribadito il loro pieno sostegno alla sovranità degli Emirati Arabi Uniti sulle tre isole del Golfo Persico occupate dall’Iran, tra le quali appunto Abu Musa. Ahmadi Nejad è stato il primo presidente iraniano a visitarla, mentre i suoi predecessori (compreso lo Shah Reza Pahlavi) se ne erano ben guardati per evitare di gettare benzina sul fuoco nelle relazioni con i paesi del Golfo.

Dalla sua posizione di isolamento internazionale, sotto l’embargo economico imposto dagli Usa (su “suggerimento” di Israele) a causa dei suoi programmi nucleari, l’Iran non ha bisogno di aumentare le tensioni con i paesi del Golfo e con il mondo arabo. La logica suggerirebbe piuttosto di compiere tutti gli sforzi possibili per placare le ostilità in condizioni così critiche. Lo scorso anno un deputato iraniano parlò in termini provocatori del Bahrein, definendolo territorio iraniano occupato. Le sue parole scatenarono un’ondata di condanna da parte di un’ampia fetta del mondo arabo. Il Bahrein ha conquistato l’indipendenza per decisione ufficiale del popolo, che ha proclamato la sua “arabicità” in un referendum rifiutando l’annessione all’Iran e dichiarandosi ancorato alla propria completa indipendenza.

E’ noto che alcuni paesi del Golfo, Arabia Saudita in primis, non hanno rapporti amichevoli con l’Iran, che considerano piuttosto un pericolo a causa delle sue ambizioni regionali e dei suoi sforzi per fornirsi di armi atomiche. E’ altrettanto noto che la maggior parte dei paesi del Ccg, se non tutti, se dovesse scoppiare una guerra si schiererebbero dalla parte degli Usa. Ciò tuttavia non significa che l’Iran non tenti di rassicurarli in tutti i modi e di portarli almeno parzialmente dalla su parte, tanto più che non sono ancora definitivamente escluse le prospettive di una ridefinizione pacifica delle relazioni con l’Occidente. Le autorità iraniane sono attualmente impegnate in una trattativa per raggiungere un compromesso evitando un conflitto militare caldeggiato invece da Israele,  che tenta di trascinare al suo fianco l’Occidente. Ieri, a margine della sua visita in Colombia, il ministro della difesa israeliano Ehud Barak ha dichiarato che il suo governo non si è mai impegnato di fronte a Washington a non attaccare l’Iran anche nel corso delle trattative, che, secondo Tel Aviv, non farebbero che giocare a favore di Tehran, che cerca di guadagnare tempo.

Se le autorità iraniane trattano con l’Occidente “infedele” (come lo definiscono alcuni politici radicali), che intanto impone al loro paese un embargo ingiusto rovinando la sua economia e mettendo a rischio le sue esportazioni di petrolio dalla fine del prossimo mese, esse dovrebbero in primo luogo applicare la stessa politica con paesi arabi e islamici vicini: impegnarsi in negoziati seri per risolvere la crisi dell’arcipelago all’imbocco dello stretto di Hormuz con mezzi pacifici e attraverso l’arbitrato internazionale. Il governo iraniano ha bisogno di conquistare amici e neutralizzare quelli che ritengono nemici, o almeno di diminuire la loro ostilità. Purtroppo scelgono politiche contrarie a questo principio internazionalmente riconosciuto.