Islam Religione Zoom

Quando è permesso combattere nell’islam?

nusra

Di Shahir Shahidsaless. Middle East Eye (17/04/2016). Traduzione e sintesi di Viviana Schiavo.

Molti osservatori occidentali sostengono che il concetto di jihad nella tradizione islamica giustifichi guerre e violenze perpetue dentro e fuori i confini del mondo musulmano. In arabo, jihad significa “lotta”. Nel Corano, il termine jihad è usato nel senso di “sforzo sulla via di Dio”, il più delle volte senza nessuna relazione con la guerra. Quest’ultima, nel Corano, appare con il nome di qital o harb. Tuttavia, nei secoli successivi alla nascita dell’islam, la giurisprudenza islamica ha sviluppato il concetto di jihad come lotta contro i non credenti in quanto dovere dei musulmani. Secondo molti studiosi occidentali, jihad è interpretato come “guerra santa”. Ma la parola araba per “santo”, muqadas, non viene mai applicata alla guerra, harb, in nessun testo islamico.

Ci sono più di 100 versi coranici che sollecitano i credenti a lottare contro i non credenti. Questi versi si dividono in due grandi categorie: quelli che possono essere interpretati come difensivi e sollecitano i musulmani a lottare contro l’aggressione e l’oppressione (es. 22: 39-40) e quelli che possono essere interpretati come offensivi e comandano loro di lottare contro i non credenti fino a quando l’islam non diventi la religione stabilita (9: 29). Il controverso studioso Sayyid Qutb ha rifiutato l’idea secondo la quale il jihad abbia solo una natura difensiva, sostenendo la tesi secondo la quale lo scopo ultimo del jihad sia quello di eliminare qualsiasi sottomissione diversa da quella a Dio. Tuttavia, alcuni studiosi islamici considerano problematica l’interpretazione di Qutb, affermando che non esiste nessun verso nel Corano che indichi la conversione come scopo della lotta ai non credenti. Nei fatti, la conversione forzata è esplicitamente proibita nel Corano: “Non c’è costrizione in materia di fede” (2: 256, 10: 99, 18: 29) e se i non credenti “ vi mandano garanzie di pace sappiate che Dio non ha dato una licenza per combatterli” (4: 90-94).

Un’altra dimensione del jihad che può essere utilizzata dagli estremisti per prendere le armi è la volontà di sradicare l’ingiustizia e l’ineguaglianza nelle relazioni sociali e creare un ordine sociale egalitario. L’istituzione del qist (giustizia) è considerata essere la missione di tutti i profeti, secondo il Corano. Tuttavia, nel libro sacro non si menziona direttamente la giustizia come scopo della guerra. Ciononostante, molti autori moderni ritengono che l’idea di jihad come bellum justum può chiaramente essere tracciata nei tesi islamici classici. Al contrario, alcuni studiosi sostengono che questa interpretazione possa legittimare delle rivolte ma non giustifichi gli attacchi terroristici. Molti versi coranici illustrano, infatti, che l’uccisione di un innocente non combattente è proibita: “Chiunque uccida una persona è come se avesse ucciso l’umanità intera” (5: 32). Basandosi su questi versi, alcuni studiosi non vedono i kamikaze come martiri, ma come peccatori. Inoltre, i musulmani vengono sollecitati a non infliggere ferite ad animali, piante o alle infrastrutture civili di coloro che stanno combattendo.

Ad ogni modo, anche se il concetto di jihad è strettamente limitato alle guerre difensive, alcuni leader estremisti potrebbero usarlo per spingere i propri seguaci alla violenza facendo leva sull’interferenza dei paesi occidentali negli affari dei paesi musulmani, le politiche aggressive di Israele e lo stile di vita e le azioni dei leader corrotti nei paesi musulmani. Si riferiscono al concetto di Umma (la comunità islamica transnazionale) dicendo che quest’ultima è attaccata e quindi il jihad è giustificato. Tuttavia, il loro successo si basa molto sulle divisioni politiche ed economiche. Molti studi mostrano come, storicamente, condizioni materiali percepite ingiuste abbiano giocato un ruolo prominente nei movimenti islamici militanti. Molti gruppi e individui si sono, infatti, uniti a questi movimenti motivati dalle loro povere condizioni economiche più che dagli insegnamenti religiosi.

Shahir Shahidsaless è un analista politico e giornalista freelance che si occupa principalmente di politica estera ed interna iraniana.

Vai all’originale

I punti di vista e le opinioni espressi in questa pubblicazione sono di esclusiva responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente il punto di vista di Arabpress.eu

Tags