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Perché gli egiziani sono così tristi?

Zoom 19 ott EgizianiDi Sarah el-Rashidi. Ahram Online (18/10/2013). Traduzione e sintesi di Roberta Papaleo.

Il World Happiness Record, pubblicato a settembre dall’ONU, ha classificato l’Egitto al 130° posto su 156 nazioni per livello di felicità. Secondo il rapporto, il “tasso di felicità” dell’Egitto è crollato del 21,2% rispetto al 2005 e al 2007. I continui scontri tra le forze di polizia e le varie fazioni di manifestanti, diventati ormai comuni negli ultimi anni, sono probabilmente la causa principale dell’evidente malcontento che affligge la popolazione egiziana. Lo psichiatra e psicoterapeuta Nabil el-Kot e il sociologo Said Sadek sono d’accordo nell’affermare che l’instabilità economica e politica sono fattori fondamentali per la felicità di una popolazione.

Secondo Platone, l’anima dell’uomo è costituita da tre parti – ragione, volontà, desiderio – e che la felicità viene garantita dal loro equilibrio. Altri filosofi, come Schopenhauer, consideravano invece la felicità come un’illusione data dall’inevitabilità del dolore e della noia. Il dottor Omar Nafei, psicoterapeuta egiziano, adotta un’interpretazione simile: egli critica la nozione di felicità in quanto “sopravvalutata” e crede che lo stato di infelicità nel quale vivono oggi gli egiziani è normale e prevedibile, in quanto la felicità è un sentimento temporaneo. Il dottor Hani Henry, professore di psicologia all’American University del Cairo, aggiunge che in società collettive come quella egiziana il benessere di un gruppo è più importante della felicità individuale. “Quando la comunità è infelice, allora anche il clima generale sarà triste”, spiega Henry.

Le due rivoluzioni, quella del gennaio 2011 e quella del giugno 2013, hanno contribuito al diffondersi tra gli egiziani di questo stato di infelicità. L’incertezza del futuro e la continua instabilità politica, inoltre, influenzano a loro volta lo stato disastroso di un’economia già in declino, altra fonte di malcontento. “Molti egiziani si sentono depressi perché non hanno raggiunto gli obiettivi della rivoluzione: giustizia sociale, pari diritti, migliore educazione e migliore assistenza medica”, spiega Henry.

Anche il fattore umano e sociale, inoltre, gioca un ruolo preponderante: “Gli egiziani sono stati costretti a cambiare le loro abitudini sociali. Non incontrano più gli amici e la famiglia come hanno sempre fatto”, spiega el-Kot. Questi cambiamenti nel tessuto sociale sono dovuti non solo alle ristrettezze economiche, ma anche all’imposizione del coprifuoco, che impedisce agli egiziani di uscire di notte a socializzare. El-Kot sottolinea che il trauma psicologico degli ultimi tre anni ha causato in molti dei suo pazienti un allontanamento e un disinteressamento dalle relazioni umane e dalle attività sociali, risultando inoltre in un aumento del numero di divorzi.

Riflettendo sulla futura felicità del popolo egiziano, molti credono che il suo tasso crescerà quando si vedrà finalmente ripristinata la stabilità politica ed economica. Nafei, tra gli altri, condivide le previsioni positive di Henry: “Anche tra i più poveri, esisteva la felicità ed esisterà ancora”, afferma il professore con ottimismo.

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