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Per Omar Aziz, guida dei giovani rivoluzionari siriani

Di Mohammad al-Attar. Al-Modon (18/02/2014). Traduzione di Claudia Avolio.

Zoom 24 feb Omar Aziz 2Come esprimere il nostro cordoglio per Omar Aziz, il sessantenne che i giovani vedevano come guida? Da dove inizieremmo e come concluderemmo il discorso? E il cordoglio avrebbe solo qualche effetto consolatorio sull’anima in pena? Al cospetto della sua assenza che ci sovrasta, il cordoglio sembra un atto di autocommiserazione davvero egoista. Un disperato tentativo di sfuggire all’insostenibile dolore.

Prima che morisse, trascorsero tre mesi dal suo arresto, avvenuto in casa sua per mano delle forze di sicurezza siriane. Tre mesi in cui l’uomo più ottimista verso il futuro di una Siria libera rimase nelle celle dell’intelligence aeronautica siriana. Ogni giorno ci manca il tuo sorriso da cui non ti sei mai separato. Ogni giorno pensiamo alla pasticca per la pressione tua compagna altrettanto fedele: te la somministravano oppure no?

Come avrai trascorso quei mesi, prima che ti trasferissero nella prigione centrale di Adra [periferia nord-est di Damasco] perché la morte ti strappasse a noi che restiamo qui? Non ci è più possibile saperlo: è tra ciò che resterà avvolto nella tua dipartita. Così come le conversazioni rimaste in sospeso, sulla giustizia sociale, la filosofia, l’economia, la letteratura…

Molte altre cose serberemo in noi insieme alla tua anima bella. Abbiamo ricordi di incontri calorosi a Damasco, libri prestati che non ti sono mai tornati indietro, una bisaccia senza fondo piena di racconti. Resterà con noi, anche, la tua fede irremovibile nella capacità dei siriani di fare passi avanti e costruire il loro nuovo Paese. Tu che hai saggiato le vicissitudini della vita e ti sei sempre speso per noi giovani dal piglio arrogante ed impulsivo, con la tua generosità nel condividere le tue conoscenze più diverse.

A sessant’anni suonati, Omar era il più vitale rispetto agli eventi della rivoluzione e nell’impegnarsi in ogni sforzo che potesse condurre al progresso del Paese futuro e delle sue istituzioni. È stato uno dei primi a parlare dell’importanza dell’istruzione e del bisogno di mettere a punto soluzioni alternative all’interruzione forzata degli studi per gli alunni. Ed è stato il primo a discutere della rilevanza di istituire i Consigli Locali come mossa articolata che avrebbe fatto avanzare la rivoluzione. Quanto eri prudente ed onesto per essere un intellettuale, Omar! E quanto mi vergogno ricordando i tuoi racconti animosi in quel caffè di Damasco e la nostra reiterata frustrazione – noi, dei giovani appena trentenni.

Tu che dopo aver trascorso lunghi anni a lavorare fuori dalla Siria, hai poi deciso di restare a Damasco per essere testimone nel giorno dell’incoronazione della libertà. E ti sei rifiutato di andartene, senza mai lamentarti della scarsità di possibilità lavorative. Avevi intuito, Omar, che saresti morto da martire nella tua città d’elezione? Com’è avvenuta presto la tua dipartita, e quanto spezza il cuore. Questo modo di andar via ti somiglia, in fondo, così tanto! Tu, che hai sempre lavorato diligentemente ed in silenzio, non ci sarai a raccogliere i frutti della tua nobile opera. Se fosse necessario ripeterla ancora, non rifaresti forse tutto da capo?

Quando te ne andasti, mi spaventava l’idea di parlare con Omar e Uday: parlammo davvero poco, come per non rischiare di andare in frantumi con la tua dipartita. Chi sopporterà d’ora in poi la nostra irritabilità e la nostra mancanza d’intraprendenza nei mondi della filosofia? Ho ripreso in mano le tue lettere e i tuoi vecchi articoli, le discussioni che tenesti con Abdul Hai ed i dibattiti con Yassin Haj Saleh. Ho riavuto sotto gli occhi le parole che Abbas Beydoun scrisse pochi giorni dopo il tuo arresto: non ci ordinava forse di metterci sulle tue tracce e scoprire dove ti avessero trascinato?

E non ci metteva in guardia rispetto alle conseguenze di una tua eventuale perdita? Quella di Abbas sarà stata una tragica profezia? E quale senso di colpa ci perseguiterà nell’arco della vita, per non aver fatto qualcosa per aiutarti, e per non aver saputo cosa ti stava accadendo? Se tornassi, Omar, ti spiegherei che ancora non ho capito i tuoi commenti sugli scritti di Michael Hardt [filosofo americano] e Antonio Negri [filosofo italiano], e tu sorrideresti come sempre, pieno di comprensione.

Se tornassi ti direi che io quel giorno, a Midan [quartiere di Damasco], falliti tutti i miei tentativi di scoraggiarti a venire, tra orde di uomini della sicurezza e shabiha e quel clima di rabbia furiosa, non ho potuto proteggerti dichiarando che tu sei mio padre. E te l’ho detto, quel giorno, mentre avevo paura come un bambino indifeso, e traevo un senso di stabilità proprio da te. Se tornassi, Omar, completeremmo il cammino insieme, e ci trasmetteremmo saggezza e determinazione. Sappiamo che nessun cordoglio ti s’addice se non la completa libertà.

Eppure… Se tornassi, Omar, se tornassi.

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