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Paradossi dei non allineati

Bodoor Zaki Mohamed (Elaph – 31/08/2012). Traduzione e sintesi Carlotta Caldonazzo

Oggi a Tehran il XVI si svolge il congresso dei paesi non allineati. Un’espressione che riporta alla mente la Repubblica Araba Unita, l’unione di Egitto, Siria e Yemen del Nord fondata nel 1958 su proposta dell’Egitto nasseriano e guidata dal Cairo anche dopo il suo scioglimento.

La nascita del movimento dei non allineati risale al congresso di Belgrado del 1961 ed è stata un’iniziativa del presidente Jugoslavo Josip Broz Tito e dei suoi omologhi indiano ed egiziano, rispettivamente Jawaharlal Nehru e Jamal Abdel Nasser. Prima di questa data un momento fondamentale era stata la conferenza di Bandung del 1955, cui aderirono 29 paesi, la cui dichiarazione finale affermava l’uguaglianza e la cooperazione tra le nazioni, il principio della non ingerenza, la neutralità rispetto alle alleanze militari condotte dalle superpotenze, la condanna del colonialismo, del razzismo e delle politiche di segregazione, il sostegno ai movimenti anticoloniali. Un movimento neutrale rispetto alla guerra fredda ma attivo nella promozione dell’uguaglianza nei rapporti internaizonali.

Tra i 25 paesi che presero parte alla conferenza di Belgrado alcuni rientravano nel blocco sovietico, come Cuba, altri gravitavano nella sfera di influenza Usa, come l’Arabia Saudita, altri ancora invece cercavano una terza via, come Algeria e Jugoslavia. Tuttavia, malgrado i buoni propositi della dichiarazione finale di questo vertice, i governi degli stati membri non sono andati molto per il sottile quando hanno dovuto sacrificare quei principi sull’altare della propria ragion di stato. Ad esempio l’Egitto di Abdel Nasser quando ha cospirato contro il presidente iracheno Abdulkarim Qassem o quando le prigioni disseminate nella Repubblica Araba Unita risuonavano delle grida dei dissidenti politici torturati.

Oggi, mentre a Tehran si riunisce il XVI vertice dei paesi non allineati, la situazione, è rimasta da questo punto di vista invariata. È inoltre legittimo domandarsi cosa significhi un movimento “multipolare” o come uno stato possa definirsi “non allineato”. Caduto il colonialismo, crollato il blocco sovietico, si tratta di assunti tutt’altro che ovvi. Si potrebbe rispondere che per non allinearsi si intende non partecipare agli interventi internazionali, a prescindere dalla (pseudo)guida dell’Onu e schierarsi esclusivamente in difesa dei principi della dichiarazione finale della conferenza di Belgrado. Quindi la domanda successiva sarebbe: l’Iran, che ha ospitato l’incontro, è un paese non allineato? E il Qatar, unico stato del Golfo ad essere rappresentato direttamente dal suo Emiro Hamad Al Thani? Entrambi infatti hanno una posizione molto netta nei confronti della Siria e del dimenticato Bahrein. Nel primo caso, Tehran si è opposta alle sanzioni dell’Onu contro il regime di Bashar al-Assad (al fianco di Russia e Cina) mentre Doha sostiene attivamente l’Esercito Siriano Libero. Nel secondo caso invece, se l’Iran difende le ragioni dell’opposizione sciita, il Qatar supporta militarmente la dinastia regnante sunnita. Inoltre il piccolo emirato del Golfo ospita un’importante base statunitense. Per quanto riguarda la Siria, il cui rappresentante partecipa al vertice di Tehran, la Russia ha una base militare a Tartous. Tre stati tutt’altro che non allineati. Lo stesso discorso vale per Afghanistan e Iraq, ormai nella sfera di influenza Usa (entrambi devastati dall’intervento internazionale le cui conseguenze sono sulle principali testate internazionali: terrorismo, povertà, ingiustizia sociale, corruzione). La presenza più paradossale tuttavia è quella del presidente sudanese Omar al-Bashir, che, a parte il mandato della Corte Penale Internazionale per crimini contro l’umanità e genocidio, è responsabile del conflitto nel Darfur e della crisi politica e umanitaria del suo paese.

Infine c’è una sorta di somiglianza tra i vertici del movimento dei non allineati e quelli della Lega Araba, entrambi terreno di battaglia di interessi contrastanti che sfociano spesso in conflitti aperti. Al punto che alcuni osservatori suggeriscono al movimento dei non allineati di scindersi in gruppi caratterizzati da linee politiche comuni, che dalla compattezza trarrebbero un peso maggiore a un eventuale tavolo delle trattative con le grandi potenze.