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Palestina, “regno degli ulivi e della cenere”

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“The Kingdom of Olives and Ash” è una testimonianza collettiva occidentale dei 50 anni di discriminazione e occupazione militare

Di Fatine al-Dajani. Al-Hayat (28/06/2017). Traduzione e sintesi di Emanuele Uboldi

C’è un’eredità che le amministrazioni americane si tramandano dalla conferenza di Madrid (1991). Tutte quante avrebbero voluto mettere la propria firma sulla fine delle ostilità israelo-palestinesi, per quanto abbiano sempre fallito. La posizione di Washington, però, ora non è chiara: per quanto faccia mostra di buoni propositi per il lato palestinese, non riesce a far compiere alcuna azione concreta agli israeliani, né il porre fine alla colonizzazione, né il ritiro dalla Cisgiordania, né istituire agevolazioni economiche per i palestinesi.

È però strano che i messaggeri di Trump chiedano alle autorità palestinesi di cessare le violenze e di non fomentarle, dimenticando che Mahmoud Abbas si è sempre detto contro la violenza – anche prima di diventare presidente.

Oggi non ci chiediamo chi faccia ricorso alla violenza, ma se la violenza non sia peggiore dell’occupazione stessa. E non ci rifacciamo alla violenza concepita da Frantz Fanon, Jean Paul Sartre e altri, e nemmeno allo squilibrio tra potere e pregiudizi di Israele o alle richieste impossibili. E nemmeno al controllo USA sugli apparati di sicurezza palestinesi e sul coordinamento tra Autorità Palestinese e Israele, che rende una barzelletta le richieste di porre fine alla violenza!

Questa volta partiamo da un libro uscito di recente, che racconta l’occupazione palestinese vista da 26 osservatori e scrittori internazionali, tra i quali i premi Pulitzer Michael Chabon e Geraldine Brooks, il premio Nobel per la letteratura Mario Vargas Llosa, l’irlandese Colm Toibin e Aylet Waldman, americana di origine ebraica. Tutti gli autori hanno visitato la Palestina di persona, per toccare la situazione con mano.

“The Kingdom of Olives and Ash – Writers Confront with the Occupation” (Il regno degli ulivi e della cenere – Scrittori a confronto con l’occupazione) è una testimonianza collettiva che trasmette il quotidiano conflitto palestinese. Uscito nell’anniversario della guerra del 1967, racconta la storia di un popolo attraverso i 50 anni di discriminazione e occupazione militare.

Questa “visita” è stata resa possibile da Breaking The Silence, associazione israeliana che sostiene la fine della violenza in quanto risultato della fine dell’occupazione. L’associazione è particolare, dato che riunisce ex militari israeliani che hanno prestato servizio nelle terre occupate: dopo aver obbedito all’esercito e attaccato i palestinesi, riparano ai danni arrecati di coloni ed esercito. L’associazione fa parte del movimento del “post-sionismo”, insieme a storici, artisti, sociologi e giornalisti che sfidano i principi sionisti, preoccupati per il futuro dello stato arabo.

Breaking The Silence è considerata la voce forte che scuote gli animi della destra al potere, come si nota dalla vasta campagna contro l’associazione e i tentativi di tagliarne le fonti di finanziamento (principalmente americane ed europee) attraverso una legiferazione apposita. Ma questo non riduce la portata dell’associazione, che rimane importante proprio perché non ripudia l’attività militare, bensì si oppone all’uso programmatico della forza. L’esercito non è un mezzo di oppressione e questo suo utilizzo va a scapito della sua immagine e della società israeliana.

I messaggi di Breaking The Silence e di questo libro scritto dall’élite potrebbero essere la migliore testimonianza da portare all’amministrazione USA sul problema della violenza, la sua realtà e le sue radici, importante dato che “l’hanno visto i tuoi”.

Fatine al-Dajani, giornalista, scrive per il quotidiano al-Hayat e altre testate online libanesi.

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