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Pakistan, Malala, voce dello Swat, griderà più forte

“Chi di voi è Malala Yousafzai?”… nemmeno il tempo di rispondere e due colpi di pistola inflitti da mano talebana, piegano il fragile corpo di un’adolescente pakistana, rea di aver difeso il diritto all’istruzione  e denunciato i soprusi talebani sulle donne e sulla società,  in un blog della BBC in lingua urdu.

Una mera oscenità per i Talebani pakistani che hanno rivendicato l’ignobile attacco attraverso le parole del portavoce della Tehreek-e-Taliban Pakistan, Ehsanullah Ehsan: “Si tratta di un nuovo capitolo di oscenità a cui dobbiamo porre fine…Lei è diventata un simbolo della cultura occidentale nella zona, l’ha propagandata apertamente…considera Obama il suo leader ideale. Che le sia di lezione”.

Ma nella rivendicazione telefonica, Ehsanullah ha poi aggiunto che se Malala dovesse sopravvivere, proveranno di nuovo ad ucciderla. La ragazza ora lotta tra  la vita e la morte. L’agghiacciante episodio si è consumato nei giorni scorsi a Mingora, nella Valle dello Swat, in Pakistan, vicino al confine afghano.  Un tempo luogo sacro ai buddisti e meta di villeggiatura prediletta dalla borghesia pakistana per i suoi laghi e  panorami incantevoli, la Valle dello Swat, oggi, vede di nuovo una forte presenza talebana, guidata dal leader Maulana Fazlullah,  nonostante l’offensiva lanciata dall’esercito pakistano nel 2009, nel tentativo di disperdere i talebani nelle zone limitrofe e al confine con l’Afghanistan.

Ed è proprio dal 2009 che Malala, all’epoca undicenne, con lo pseudonimo di Gul Makai, comincia a denunciare su un blog della BBC, in urdu, le violenze dei talebani sulle donne e sulla società, reclamando quel diritto all’istruzione che i talebani avevano bandito con la chiusura di molte scuole, tra cui proprio la sua. E’ davvero impressionante pensare che questa bambina, oggi quattordicenne, abbia la forza di ergersi a paladina dei diritti umani e in particolare, rivendicare il diritto all’istruzione, in una terra che sprofonda nella morsa dell’estremismo giorno dopo giorno, con tutti i pericoli che ne conseguono. Ma nel suo ruolo di attivista, Malala ha avuto un modello fondamentale, il padre Ziauddin, poeta, insegnante e responsabile della Khushal Public School, che le ha trasmesso il valore dell’istruzione e che vorrebbe vederla entrare in politica.

Formata dunque, all’insegna del senso civico e cresciuta con la consapevolezza che solo attraverso l’istruzione il suo popolo potrà combattere la brutale ignoranza dei talebani, questa coraggiosa adolescente pakistana, ha rilasciato interviste in cui, con una semplicità disarmante, reclama il diritto di fare ciò che tutti i ragazzi del mondo dovrebbero poter fare: ”Voglio andare a scuola, voglio giocare, ascoltare musica, cantare!” Un affronto inaccettabile per i feroci barbuti della Valle dello Swat,  da punire con la morte, già, perché una persona come Malala potrebbe “contagiare” tante altre ragazze e cosa succederebbe se i Talebani, a un certo punto, si trovassero di fronte donne istruite, consapevoli del loro ruolo sociale, forti e pienamente attive nella società? Donne come Malala, che pur nella sua tenera età, ogni giorno sfida il rischio di essere uccisa o sfregiata con l’acido mentre va a scuola. Li disorienterebbero senz’altro e non avrebbero altri mezzi per sopraffarle se non il terrore e la violenza.

L’atroce punizione inflitta a Malala ha sconvolto il Pakistan e ha indotto alcuni gruppi religiosi a condannare l’atto e a prendere le distanze da chi lo ha commesso. Secondo il Guardian,  50 religiosi hanno emesso una fatwa contro i responsabili, inoltre, gli studiosi islamici del Sunni Ittehad Council hanno denunciato pubblicamente il tentativo dei Talebani pakistani di montare giustificazioni religiose per l’attentato a Malala, mentre l’ex Mnistro degli Affari religiosi Hamid Saeed Kazmi, ha ribadito che “per l’Islam, uccidere una persona innocente equivale a uccidere l’intera umanità”.

Malala, un nome un destino. Come Malalai, eroina afghana che nel 1880 ha ispirato i combattenti locali nella battaglia di Maiwand contro gli inglesi, o Malalai Joya, attivista, scrittrice e ex politico afghano più volte minacciata per aver denunciato talebani e signori della guerra in Afghanistan. Una missione sociale dunque, che la piccola attivista porta avanti con coraggio e che nel dicembre 2011 le ha fatto meritare il Premio Nazionale dei Giovani per la Pace, conferitole dal Primo Ministro Yousaf  Raza  Gilani. Nell’ottobre dello stesso anno ha avuto la nomination per l’International Children Peace Prize. 

Il video documentario che segue, è stato girato nel gennaio 2009 dal reporter del New York Times, Adam Ellick, alla vigilia della chiusura delle scuole imposta dai talebani. Sintetizza l’essenza del pensiero di Malala che racconta le sue aspirazioni, dice di voler diventare medico ma mentre ne parla l’amarezza l’assale, nasconde il viso tra le mani in un pudico tentativo di piangere. Accanto a lei il padre, onnipresente, ma mai la madre. Un’ombra che offusca un pochino l’operato educativo di questo padre attivista che incoraggia la figlia a difendere i diritti delle donne ma che non ne mostra mai la madre e moglie. Piccole contraddizioni. Forse. O forse il peso della ‘tradizione’.

 Le immagini del video di Ellick documentano l’ultimo giorno di scuola di Malala ma anche le atrocità dei talebani che usano lasciare corpi decapitati per strada, fustigare le donne, presunte adultere, giustiziare con un proiettile in bocca chi ha disobbedito.

Immagini forti che si chiudono con l’orgoglioso messaggio di Malala, pronta a difendere i valori in cui crede e a far sentire la sua voce oltre la Valle dello Swat:

“They cannot stop me, I will get my education, if it is in home, school or any place. This is our request to the all word that save our schools, save our world, save our Pakistan, save our Swat”

La sua voce è arrivata oltreoceano, ora il mondo sa. La speranza è che sopravviva e che quei proiettili talebani si trasformino in un boomerang mediatico per chi li ha commissionati. Volevano farla tacere per sempre, ora, invece, la sua voce griderà più forte.

Katia Cerratti                                                    

 VIDEO MALALA New York Times :

     

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Katia Cerratti

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  • Il mio commento se è possibile,lo vorrei far arrivare a questa bambina,per dirle che sei l’esempio vivente per tanta alta gente che non sa opporsi a tanti altri sopprusi.Ti ammiro tanto.