Maghreb Medio Oriente Zoom

I Paesi della Primavera Araba nel 2014

Primavera araba
Primavera araba

Al-Arabiya (18/12/2014). Traduzione e sintesi di Roberta Papaleo.

Quattro anni dopo lo scoppio delle cosiddette “primavere arabe”, la Tunisia sembrano aver concluso la loro transizione democratica con l’elezione di un presidente, mentre gli altri Paesi sono ancora presi dalla violenza e dalla repressione.

Ecco un riassunto di come stanno le cose adesso in Medio Oriente e Nord Africa:

Tunisia

Il 17 dicembre del 2010, un giovane venditore ambulante frustrato dagli abusi della polizia si è dato fuoco nella cittadina di Sidi Bouzid. La morte del giovane ha scatenato proteste contro la povertà e la disoccupazione. Il 14 gennaio del 2011, la pressione popolare ha costretto l’allora presidente Zine el Abedine Ben Ali a lasciare il Paese.

Il 2013 è stato segnato dalla crisi politica e dalla violenza attribuita ai jihadisti, ma il Paese ha adottato una nuova Costituzione nel gennaio 2014. Lo scorso ottobre, Nidaa Tounes, un partito anti-islamista, vince le elezioni parlamentari , avendo la meglio sul partito Ennahda. A novembre, si è svolto il primo turno delle elezioni presidenziali, definite libere e giuste dagli osservatori internazionali (il secondo turno tenutosi in dicembre ha visto la vittoria del leader laico di Nidaa Tounes Essebsi, ndt).

Siria

La Siria è stata devastata da almeno quattro anni di guerra civile, in cui hanno perso la vita più di 200.000 persone e che ha costretto metà della popolazione del Paese a lasciare le loro case.

Per più di un anno, i gruppi ribelli armati sono stati sulla difensiva, mentre le milizie islamiche come il Fronte al-Nusra e Daish (conosciuto in Occidente come ISIS) hanno guadagnato terreno nella lotta contro di loro e contro le forze fedeli al regime di Bashar al-Assad.

Dallo scorso settembre, gli Stati Uniti ed i suoi alleati hanno portato avanti una campagna di attacchi aerei contro Daish, accusando l’organizzazione di usare metodi brutali per mantenere il controllo.

Egitto

Dopo una rivolta popolare durata 18 giorni e che ha causato almeno 850 morti, Hosni Mubarak ha rinunciato alla presidenza l’11 febbraio 2011, dopo trent’anni di potere, lasciato nelle mani dell’esercito.

Nel giugno 2012, l’islamista Mohamed Morsi, appoggiato dalla Fratellanza Musulmana, è diventato il primo civile ad essere eletto liberamente come capo di Stato. Ma l’anno successivo è stato segnato dalla crisi e dal dissenso politico e Morsi è stato deposto dalle forze armate guidate da Abdel Fattah El Sisi.

Da allora, più di 1.400 persone, per lo più sostenitori di Morsi, sono state uccise negli scontri in strada e le forze di sicurezza hanno eseguito 15.000 arresti nei ranghi della Fratellanza, incluso lo stesso ex presidente e la maggior parte dei leader del gruppo. Centinaia sono stati condannati a morte e Morsi è ancora sotto processo per crimini per lo potrebbero condurre allo stesso destino.

Nel giugno del 2014, El Sisi ha vinto le elezioni presidenziali, mentre Mubarak è stato assolto da quasi tutte le più gravi accuse che lo vedevano imputato.

Libia

Sin dal crollo del regime di Muammar Gheddafi nell’ottobre del 2011 le autorità in Libia hanno lottato per mantenere l’ordine.

Più di tre anni dopo, la Libia rimane inondato dalle armi e da milizie potentissime e possiede due governi e due parlamenti rivali fra loro.

Nei mesi scorsi, le milizie islamiste hanno preso il controllo della capitale e di Bengasi, secondo centro della Libia, e le forze governative hanno lanciato diverse operazioni per riprendere le due città.

Bahrein

Il movimento di protesta a maggioranza sciita emerso il 14 febbraio del 2011 è stato represso un mese dopo dalla dinastia sunnita al-Khalifa, ma la piccola monarchia del Golfo è ancora teatro di disordini.

L’opposizione, che vuole una vera monarchia costituzionale, ha boicottato le elezioni parlamentari dello scorso novembre, dopo che il governo si è rifiutato di cambiare idea su alcuno questioni fondamentali.

Yemen

Il presidente di lunga data Ali Abdullah Saleh si è dimesso nel febbraio del 2012 in seguito a un accordo tra le Nazioni Unite ed il Consiglio di Cooperazione del Golfo dopo un anno di rivolte popolari. Nonostante ciò, Saleh rimane una forza politica molto potente.

Lo Yemen si sta ancora battendo per ottenere stabilità, ora che le milizie sciite hanno preso il controllo della capitale e di altre zone del Paese, arrivando allo scontro con le tribù sunnite e al-Qaeda.

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