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Obama accomodante con l’Iran e critico con gli arabi

Obama iran

Di Abdulrahman al-Rashed. Al-Sharq al-Awsat (09/04/2015). Traduzione e sintesi Carlotta Caldonazzo.

Il discorso del presidente statunitense Barack Obama ha suscitato qualche perplessità non solo in Israele, ma anche tra le monarchie del Golfo. Fedelissime alleate di Washington, queste temono infatti che un atteggiamento conciliante su un tema cruciale come quello del nucleare (la cui vera soluzione resta la rinuncia unilaterale da parte di tutti i Paesi del mondo) implichi una riconfigurazione delle alleanze in Medio Oriente. Complice l’eventualità che la comunità internazionale possa chiedere aiuto a Teheran contro i cartelli del jihad di Daesh (ISIS).

L’Iran, come la Siria e l’Iraq di Saddam Hussein, è fondato su un regime ossessionato dalla sicurezza e accecato dall’ideologia. Si tratta tuttavia di elementi che contraddistinguono in egual misura i regimi del Golfo, in parte Israele e quasi tutti gli stati sui quali gli USA hanno di volta in volta contato per mantenere un determinato equilibrio regionale. Nell’ottica della rivalità per la supremazia geopolitica, che va ben oltre le questioni settarie di facciata, è comprensibile che il discorso di Obama abbia indispettito i monarchi del Golfo. Una prospettiva che forse sarebbe il caso di mettere da parte, visto che finora ha avuto come unico risultato quello di creare o alimentare conflitti, o entrambi insieme.

Particolarmente urtante per gli alleati arabi di Washington è stato sentire da Obama che i loro Paesi sono minacciati da fattori esterni ma anche interni, “popolazioni che in alcuni casi sono isolate, giovani disoccupati, un’ideologia distruttiva e nichilista e, talvolta, la convinzione che non esistano modi legittimi di manifestare il dissenso”. Non sono questi infatti gli Stati Uniti cui sono avvezzi, che non hanno nulla da obiettare ai dieci Paesi che dal 26 marzo scorso sotto il comando di Riyad stanno bombardando lo Yemen (l’Arabia Saudita lo aveva già fatto alla fine del 2009), né al Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG) che, sempre sotto l’egida saudita, ha soffocato la rivolta popolare in Bahrein, che pure si inseriva nel quadro delle tanto decantate “primavere arabe”.

Dunque alcuni alleati USA nel mondo arabo ritengono rischioso dimostrare apertura nei confronti dell’Iran, che sostiene il regime siriano di Bashar al-Assad e le milizie sciite yemenite degli Houthi. Eppure la loro strategia, in particolare quella del CCG, perlopiù condivisa da Washington e nota come “il nemico del mio nemico è mio amico”, ha di fatto spianato la strada all’integralismo islamico in Siria, pur di indebolire Assad, e in Iraq, pur di rovesciare prima Saddam Hussein (che pure contro la neonata Repubblica Islamica dell’Iran dal 1980 al 1988 non era così malvisto), poi il regime dell’ex primo ministro iracheno Nuri al-Maliki, troppo vicino a Teheran. Senza dimenticare il sostegno finanziario di Riyad alle scuole islamiche wahhabite in Yemen. Inoltre i paesi del Golfo sono retti da monarchie assolute, dove le violazioni dei diritti umani (come dimostrano i rapporti di organizzazioni come Amnesty International) sono gravi e continue.

Mentre discutono dei rischi di un accordo con Tehran e sulla minaccia che ne può conseguire per la regione, le vittime dei bombardamenti dello Yemen sono oltre 600 morti, mille secondo il ministero della sanità yemenita e più di 100mila sfollati.

Abdulrahman al-Rashed è ex caporedattore del quotidiano Asharq Al-Awsat e ex direttore generale del canale Al-Arabiya.

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