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Non parlatemi di pace mai più

Di Asmaa al-Ghoul. Al-Monitor (04/08/2014). Traduzione e sintesi di Marta De Marino.

Sono scoppiata in un pianto senza fine quando, il 3 agosto, ho ricevuto la telefonata che mi informava della caduta di due missili F-16 sulla città di Rafah.

Mio zio, Ismail al-Ghoul, 60 anni, non era un membro di Hamas. Mia zia, Khadra, 62 anni, non era militante di Hamas. I loro figli, Wael, 35 anni e Mohammed, 32 anni, non erano combattenti di Hamas. Le loro figlie, Hanadi, 28 anni e Asmaa, 22 anni, non si erano schierate con Hamas, neanche i miei cugini, Ismail, 11 anni, Malak, 5 anni, e il piccolo Mustafa, 24 giorni, erano membri della jihad islamica, il Fronte popolare per la Liberazione della Palestina o di Fatah. Sono tutti morti in un bombardamento israeliano che ha colpito la loro casa alle 6:20 di domenica mattina.

La casa si trovava nei dintorni di Yibna, nel campo per i rifugiati di Rafah ed aveva il tetto fatto di sottili lamine di amianto, che per essere distrutta ci vuole ben poco e non due missili F-16. Qualcuno può gentilmente informare Israele che le case dei rifugiati palestinesi di Rafah possono essere distrutte e i suoi inquilini uccisi, soltanto con una piccola bomba e che non hanno bisogno di spendere miliardi per spazzarli via?

Se è Hamas che odi, voglio dirti che gli uomini che stai uccidendo non hanno nulla a che fare con Hamas: sono donne, bambini, uomini che vogliono la fine della guerra, vogliono tornare a casa dalle famiglie e vivere la loro vita. Ma vorrei anche garantirti che ora quelle donne, quegli uomini e bambini sono diventati lealisti di Hamas.

Ora capisco l’importanza delle foto dei corpi, non servono solo all’opinione pubblica, ma soprattutto alle famiglie, alla disperata ricerca dei loro cari. Come loro, anche io ho scovato le foto dei mie parenti sui social network. I corpi dei miei cugini erano conservati in un freezer per gelati, mentre altri corpi erano ammassati in congelatori per la frutta e la verdura. In quelle foto di morte, quei corpi sono stati liberati dalla paura della guerra e la mia famiglia sembrava in pace, con gli occhi chiusi come se stesse dormendo.

Io sono nata nel 1982, nella stessa casa, nei dintorni di Yibna, sono cresciuta lì e ho visto la prima Intifada, la resistenza, la mia prima scuola. Lì, ho visto il primo soldato israeliano della mia vita, strattonare mio nonno per costringerlo a cancellare degli slogan che adornavano le mura della casa. Ora quelle mura, quei ricordi e quei bambini sono stati spazzati via, e i sopravvissuti sono persi. Non parlatemi di pace mai più.

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